di Cristina Taliento
Ma io mi chiedevo proprio che cacchio avessero da ballare ancora, quei matti lì, quelli scemi. Perché non se ne stavo quieti a piangere dato che il Pil era basso, l'amore faceva schifo, l'aria sapeva di zolfo e i malati di tumore aumentavano anno per anno? "Andatevene a casa, tutti a casa, giullari!" volevo gridare certe volte. E magari proprio così no, ma un "eccheddiavolo" mi scappava. Era solo che non capivo. Voglio dire, cantavano ancora. Conoscevo le loro storie, le respiravo dai loro gesti e, grazie a tutta quella faccenda dell'empatia, sapevo che avevano delle ottime, vincenti ragioni per essere tristi. O meglio, stravolti. Straziati. Tutti quanti: studenti, pensionati, pazienti, imprenditori, casalinghe, donne delle pulizie, autisti, professori, ministri, frati, modelle, dentisti, scrittori. "Invidiosa! Invidiosa!" canticchiava la mia coscienza. "Che se ne andassero al loro destino" mormoravo io. Le strade erano piene di cuori spezzati, cuori solitari, cuori due, tre volte infartuati e io, a dire il vero, un po' mi aspettavo una certa compagnia, una fratellanza silenziosa di gente che soffre, un cenno del capo da un passante che capiva, sapeva, poteva immaginare. Invece quando scendevo in strada, c'erano tutti quei matti che reagivano, neanche fossero stati tutti psicologi, maniaci dell'andare avanti o fanatici del presente. Insomma, sentivo i loro cuori battere, sentivo le loro sofferenze, delusioni, malattie. Sentivo i loro lutti, gli addii, i loro cani sepolti, i loro pianti. I loro che erano i miei, che in fondo siamo tutti uguali. E però, tutta sta gente, la vedevo ballare ancora. Sara beveva ancora il suo caffè solubile nelle tazze da thè. Quelle mandrie di adolescenti all'uscita da scuola ridevano, alla faccia delle guerre quotidiane. Sally abbracciava ancora il suo pelouche, quello che le aveva regalato Marco due settimane prima di lasciarla piangendo. Lo spazzino fischiettava ancora. Il signore con il piede diabetico leggeva ancora i libri di Asimov sorridendo. Il ragazzino cinese distribuiva ancora i volantini del circo augurando agli automobilisti una buona giornata. "Checcacchio ridi se ti sfruttano, idiota!" pensavo io, ma poi mi vergognavo. Mi giravo e rigiravo tra le mani quel sacchetto di cellophane in cui era avvolto il mio cuore o i pezzetti rimasti o ciò che ero riuscita a ricucire. Guardavo loro, i loro sacchetti, le vite che vivevano ancora, i sogni che avevano ancora. "Bah" e non mi veniva altro da dire.
Certe volte c'è solo da tirare su col naso e commuoversi per il coraggio del mondo, realizzare che tanto vale ballare. Male che vada, si vive.