Questa
storia ha dell’incredibile, è una bomba, giuro. Me la sono inventata mentre
studiavo biochimica ed ero agitata dalla caffeina, rattristata da un lutto che
aveva colpito una mia amica, distratta da una frase finale di Bud Spencer e dal
desiderio di imparare a suonare il flauto traverso; pensate che razza di labirinti
mentali. E poi ho continuato a pensare solo a lei- alla storia, intendo- a
pensarla mentre andavo a casa, dato che prima, quando la storia ha preso a
scoppiettarmi in testa, ero in biblioteca e allora, niente, me ne sono andata,
alzata di botto dalla sedia, scale di corsa, fuggita, perché era dura starsene lì a fissare la DNA polimerasi nel silenzio,
quando, caspita, io dovevo pensare vivamente, io dovevo scrivere, respirare
rumorosamente, pestare i piedi sui fogli, gesticolare nell’aria affinché la
storia, questa storia, fosse potuta, avesse, fosse, mio Dio, potesse essere, in
qualche modo, seppur nel peggiore dei modi, scritta.
Però,
una volta a casa, tastiera sotto le dita, schiena raddrizzata dall'entusiasmo,
occhi squillanti, all'improvviso mi sono ingobbita, curvata, con tristezza
rimpicciolita e quasi me ne stavo scivolando sotto il tavolo per la delusione
se non fosse per l'aver fatto prontamente leva sulla
sedia e mezza salva e mezza paralizzata, con in faccia la rassegnazione del
guerriero che si accorge in un attimo di aver perso tutto, sbadabam, su questa
stessa faccia, sopra l’avambraccio, sono crollata. La storia. L’avevo persa.
Andata. Schuuum. Sparita. Chi poteva testimoniare l’esistenza di una storia
inventata? Inventare di aver inventato una storia. Che situazione scomoda. I Giocatori di Carte di Cezanne, appesi al muro, si sono messi a mormorare sulla
mia presunta, ridicola, insanità mentale da eccesso di studio. Non che avessi
dimenticato l’idea o l’ispirazione, soltanto non mi sembrava più tanto
grandiosa. Eh già. Non era la storia che mi volevo raccontare la sera. Non era
la storia che dovevo prendermi la briga di scrivere da sola perché a nessuno
scrittore era ancora venuta in mente. E quindi, imbronciata, spettinata e
indispettita, ho alzato la testa dal braccio e mi sono detta: tanto meglio.
Tanto meglio per la DNA
polimerasi. Così ho riaperto il libro da 10 chilogrammi e mezzo e ho continuato
a studiare.
Poi,
vedete un po’ come sono le cose, come una fiammella che si riaccende, proprio
mentre sfogliavo questo libro da 10 chilogrammi e mezzo e mi scorrevano tra le
dita le immagini cristallografiche di proteine bellissime, lentamente, facendo
più piano possibile per non svegliare il cosiddetto Blocco dello Scrittore, ho allungato
cauta la mano verso la penna e piano piano l’ho puntata sul foglio e ho
scritto: Fantascienza per cuori freddi e solitari. Perché così mi andava sul
momento.
Questa
storia ha dell’incredibile, è una bomba, giuro. Me la sono scritta per me, ma
se volete leggerla anche voi e riuscite a stare al passo, favorite. Prende
spunto da una domanda che mi faccio sempre. Più che una domanda, è un paradosso
su cui mi piace ragionare. Ed è questo: se dovessimo costruire l’uomo dal nulla
con le conoscenze che abbiamo, disponendo di un laboratorio con tutta la
materia prima già fabbricata, se bastasse nominare i componenti per montare
quest’individuo, nominarli e basta, che ne verrebbe fuori?
Per
esempio, si dovrebbe partire dalla Tavola Periodica degli Elementi, metterli
nel database e toc, registrati, risposta esatta. Step numero uno completato con
successo. Dopodiché, molecole semplici, prima fra tutte H20. Step numero due, ottimo
lavoro! E così fino ad arrivare a mettere in questo computer tutta la lista
degli enzimi e delle macromolecole riunite. Più si sale di livello, più il
sacchetto amorfo di elementi prende forma. Infine, dopo aver schedato nozioni
di biochimica, fisica, si passa a rifinire il tutto con l’anatomia e dopo un lavoraccio
generale, ecco che, sotto il faro del nostro ipotetico laboratorio, abbiamo
l’Uomo.
Nell'anno
in cui si scrive (2014), se anche esistesse un computer capace di montare
tasselli in questo modo con il solo requisito di conoscerli e saperli
descrivere, il risultato non sarebbe molto diverso da quello del sacchetto
amorfo perché gran parte delle cose che esistono, esistono senza che noi ci
siamo accorti della loro presenza. Per esempio. Esempio lampo: avete mai sentito parlare dei Recettori Orfani? Un vero insegnamento di umiltà. Sono dei recettori la cui esistenza è stata ben dimostrata, ma ahimè non si conosce la proteina, l'ormone, che si potrebbe legare a essi, ovvero sono recettori che ricevono non si sa bene chi, se ne stanno là seduti al tavolo del ristorante e per quel che ne sappiamo noi, potrebbero ricevere più che un ospite, uno spam-spam bidon bidone, ma questo, voi sapete, nella cellula non accade. Le molecole sono tutte così educate e fredde e organizzate, così tranquille. Quindi, a voler indagare chi si lega al recettore, si rischia di perdere la testa, in effetti, ma a volte le cose vanno talmente bene per la ricerca che si scopre il ligando (ovvero, colui che si lega) e si parla di Recettore Adottato. Quante se ne inventano, questi scienziati. E, insomma, adotta di qua, adotta di là, immaginate che nel 9999 molte delle cose orfane e abbandonate di noi, potranno trovare qualcuno o qualcosa a cui legarsi per mano perché, si sa, ce lo insegnano fin dalla scuola elementare che l'ordine è stare in fila per due, perché appaiare significa dimezzare le categorie, schedarle senza dimenticare l'identità che le distingue. Così, se disponessimo di questa fantomatica macchina capace di montare i pezzi biologici, con l'unico inconveniente di dover ricordare noi alla macchina il nome dei suddetti pezzi, beh, secondo voi che ne verrebbe fuori? "Un accidente di niente!" mi risponderebbe, giustamente, qualsiasi matricola che abbia passato Biologia al primo anno. Infatti, a dover comunicare al computer solo
ciò che conosciamo, salterebbe fuori un vivente vegetale, un mostro che è meno
di un mostro, dove alcuni meccanismi funzionerebbero, mentre altri, quelli a
noi sconosciuti, peserebbero con la loro mancanza su quell’ammasso stupido di
materia che abbiamo creato o meglio, che non siamo stati capaci di creare.
Ma
nell’anno 9999, quando questa storia ha inizio, si saprà tutto. Tutte le
conoscenze accumulate, i millenni di ricerca, avranno tolto alla fantascienza
ogni approdo immaginario e sarà tutto scienza pura, possibilità immediata. Non
per tutte le cose che riguardano l’Universo ci saranno risposte, ma per ciò che
concerne l’Uomo, ogni singolo gene sarà ricollegato alla sua proteina, ogni
singola proteina sarà seguita nel suo sentiero d’azione, ogni evento spontaneo
diventerà un evento, un tempo, soltanto un tempo, definito spontaneo. Il codice genetico, decriptato codon per codon, potrà essere usato per costruire un corpo umano a partire da una manciata di Elementi.
Una macchina. Serve una macchina in grado di farlo. Abbiamo la macchina! Ebbene, nel 9999 questa macchina è stata inventata già da 5 secoli, pensate. Il nome dell'inventore è Tibetano Argenteuil. Nazionalità... dunque, no, nel 9444 non possiamo parlare in termini di Nazione. Concetto superato. Poi, insomma, vi spiegherò.
La macchina, giusto. Essa è l'espressione massima dell'intelligenza umana, il cavallo di battaglia del Terzo Pianeta del Sistema Solare partendo dal Sole, l'orgoglio massimo dei figli nei confronti dei padri della Scienza, la sfida che intimidisce eventuali extraterrestri di passaggio facendoli chinare il capo (o eventuali numerosi capi se i soggetti sono pluricefali) di fronte a tanta superiorità d'ingegno.
Ma. E qui, attenti, arriva la svolta. Nel 9999, l'ultimo trimestre dell'anno, qualcosa cambia. Succede un casino, ecco. Un vero casino: la macchina diventa desiderio di Occhi Indiscreti che Scrutano nel Cosmo. Senz'altro avete capito (proprio gli extraterrestri, sempre loro, chi altri). Eh già. E dove c'è desiderio e brama, lì c'è la guerra. Il fine, anche nel 9999, giustifica il mezzo. Così, colonie di altri viventi attaccano gli Umani e il sangue si spiaccica sui finestrini, insieme a polpette di reni mentre tagliatelle di visceri pendono dalle chiome degli alberi.
Tuttavia, come avrete notato, siccome sono una narratrice in tempo di pace poco incline a descrivere lo splatter senza inciampare in patetici humor, ho pensato di saltare direttamente alla parte dei fumi, ovvero quella classica e stereotipata parte alla Valle della Morte et similia dove, nei film, il regista fa lavorare alla grande la macchina del fumo per sottolineare il profondo senso di desolazione e annientamento che lascia una guerra tra umani e extraterrestri.
In questa parte dei fumi, dicevo, il superstite è uno studente di medicina. Un altro stereotipo che entra in gioco quando nell'aria c'è un certo non so che- un je ne sais quoi- di Sfiga. Di Sfiga, certamente, dato che lui è l'unico superstite. Comunque di stereotipi se ne incontreranno a bizzeffe in questa Fantascienza e sono sicura che comprenderete perchè se state leggendo significa che avete accettato (e superato) il fatto che questa è Bassa Letteratura di Serie C, dove si fa un uso improprio e snervante delle Maiuscole. Non ci posso fare niente. Ultimamente queste maiuscole stanno proprio diventando una droga, un bisogno emotivo di far saltare all'occhio qualcosa che è solo una parola. Triste. Andiamo avanti.
Lo studente è quindi da solo sulla faccia del pianeta, nel vero senso di questo luogo comune non così comune, dopotutto. Niente sembra andare nel verso giusto. Gli extraterrestri girano in mutande con sguardi minacciosi e armi che assomigliano ai fucili degli sbiaditi secoli 2000. Lui passa le giornate a nascondersi e ci riesce perchè si è allenato per anni. Quand'era bambino immaginava, chissà per quale trauma subito, di doversi nascondere per via di una guerra improvvisa. Così, senza annotarselo, ma tenendolo bene in testa, aveva iniziato a pensare morbosamente ai luoghi in cui passare inosservato, come, per esempio, la sala costumi del Teatro Planetario, nello specifico dentro il costume delle antiche dame. Oppure, nel frigo dopo averlo spento. Sotto il divano letto con le gambe rannicchiate (un classico intramontabile per ogni bambino che accenni a diventare un adulto con un minimo di sale in zucca). Nel bagno della metropolitana intercontinentale. Nel copertone di una ruota per tir spaziali, anche se la posizione curvata non è il massimo per la schiena. Ma Gimmy Tilli, per ora chiamiamolo così, a vent'anni ha un'accennata cifosi dorsale e il copertone gli si adatta a perfezione.
Allora, non fa che nascondersi il ragazzo. Lui è molto ansioso. Soffre di attacchi di panico, inoltre è erotomane. L'erotomania- dice il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, edizione 9999- è un tipo di costante illusione in cui l'individuo affetto crede che, ovunque, sempre, le persone si innamorino di lui. Così, trovandosi, di colpo solo, Gimmy Tilli non può tollerare più di non poter piacere. La solitudine è, infatti, l'unica che può smascherare la sua illusione. La sua ansia cresce a dismisura. Si chiede che diavolo di scherzo sia quello di ritrovarsi come ultimo superstite. Trascorre, dunque, le giornate nascosto a mordersi le unghie mormorando: "Porca puttana, porca puttana". Nonostante ciò, non ha il coraggio di buttarsi nel fumo e rendersi visibile ai nemici per essere eliminato. Questo perché Gimmy Tilli vive spesso senza prendere serie iniziative, senza dire quello che pensa e senza nemmeno pensare di fare altre di queste cose coraggiose. Lui, niente. Preferisce che gli eventi lo travolgano, che l'amore lo travolga costantemente senza mai scalfirlo. Lui, cifotico e perennemente raffreddato, ha costruito intorno a sé una vera città castello piena di gente che lo desidera e dove lui può rifiutare con gentilezza i loro inviti. In questo modo, egli si erige sovrano della Vita e delle Scelte. In quanto Sovrano, ha infinite possibilità. Il rifiuto, quindi, non è vigliaccheria, bensì ricerca del Meglio. Un grandissimo bugiardo, insomma, questo Gimmy Tilli, non c'è male. Ma lui non lo fa apposta, ci crede per davvero. Come io con le maiuscole. Ci sono cose più forti di noi. E al diavolo, certe volte, ostinarsi per correggerle. Tanto per la cronaca. Tanto per avvertire che questo non è una specie di romanzo di formazione dove Gimmy Tilli si libera da se stesso y todo el mundo una mano arriba y vamos a la izquierda y derecha, izquierda, derecha, vale, vale. No, non credo. Io non conosco il finale di questa storia, ma ho letto che non si guarisce da certe illusioni. Quindi se mi invento un personaggio che già per tre quarti è uno stereotipo, cerco di evitare di farlo "maturare" per non peggiorare le cose. Vedete, io penso che la Scrittura di Serie C come questa possa campare discretamente bene anche solo con l'evitare di peggiorare le cose. Anni e anni di esercizio per questo, ragazzi. Non sottovalutate.
Comunque.
Il fatto è questo: a un certo punto si scopre che questi extraterrestri non lasciano la Terra perchè, pur avendo fatto il diavolo a quattro con gli umani e sparato un bel po' di solenne fumo sulle diverse valli del pianeta, nonostante la loro palese vittoria e il loro bel celato compiacimento, essi non hanno ancora trovato la macchina. Si, la super Macchina, l'escamotage su cui si aggrappa questa intera Fantascienza. Essi pensano: "mah, magari queste talpe di umani l'hanno seppellita". Così iniziano a scavare dappertutto. Pfff, che casino totale... un maremoto in collina, mai accaduto niente di simile in millenni e millenni. Il solo che può testimoniare è un ragazzo dal nome clownesco che, per quanto lo riguarda, non ha nessuna voglia di immischiarsi. Però, si annoia. E la noia, per uno che studia medicina, può divenire, alle volte, una spinta pazzesca per agire. Prende la giacca, esce dal copertone di tir spaziale in cui si era nascosto e decide che se trova la Macchina, può costruire una serie di Umani. Ragione numero uno, per non essere "l'unico superstite del cazzo", come spesso si ripete tra sé e sé. Ragione numero due, per diminuire le possibilità di estinzione della razza umana per la quale ci sono voluti, comunque, tanti sforzi per farla progredire eccetera. Ragione numero tre, per mettersi alla prova con le sue conoscenze nel campo scientifico e vedere se con esse è in grado di suggerire alla Macchina le giuste informazioni capaci di assemblare nuovi umani. Basta una volta, un solo umano e il resto è un ordinario processo di copia-incolla. E questa è la Sfida. Gimmy Tilli, ansioso, avente cifosi dorsale, raffreddato, avente cifosi psicologica, erotomane ed egoista, alla fine, si scopre che è anche competitivo fino alla schifezza. Quindi, nascondendosi di angolo in angolo in punti davvero divertenti (che penserò io a inventarmi per benino), zitto zitto, ce la fa. Eh si! Eh per forza! Ce la fa perchè questa è una Fantascienza per cuori che devono distrarsi con qualche emozione del genere. Ma non è detto niente, si stiano tranquilli coloro che amano i finali tristi. Ho scritto che ce la fa, non ho scritto che si ricorda le informazioni. Potrebbe anche accadere che questo Gimmy Tilli si dimentichi tutto sul più bello. Poi, è solo uno studente di medicina. Mica un professore di biochimica. Mica un dottore.
E come disse Dio a Mosè sul Monte Sinai, millenni e millenni prima: questo è quanto.
(Anche se questo non è davvero quanto. Ci devo investire ancora un po' di potenziale creativo).