22/10/13

Io sono qui


Che noi siamo fatti,
educati, cresciuti così,
educati, bla bla, cresciuti, siamo.
Che io non ero,
non sono così,
che sono,
che io non sono,
ero, io ero,
sono stata, io ero
in questo modo,
preciso, così.

Se è vero il Sono, 
non è vero il Non Sono.

Non lo so chi sono.
Io sono qui.

(C. Taliento)

19/10/13

Le vite umane


di Cristina Taliento


E c'ha sempre 'ste benedette vite umane in bocca. Ogni confinato minuto. Non riesci a distrarla, cavolo, non ci riesci! Perchè la testa è lì, alle vite umane e notte e giorno e notte e giorno, non come un vezzo, non come studio. E tutto per le vite umane, per salvare vite umane. Non si fa così! Non ci si comporta così! 'Sta foga insana di correre e rifiutare appuntamenti e sbattere porte in faccia all'amore e riaprirle chiedendo scusa, se sono vite umane. Le vite degli altri. Fare, mangiare, bere e dormire per le vite degli altri. Ma che persona sei. E poi, considerare gli altri solo per accertarsi che stanno bene e che c'hanno il polso apposto e che i linfociti e che le valvole e che...mah. Per poi fregarsene alla grande se alle vite umane piace il tè al limone. Il tè al limone? Buon Dio, siamo seri, ma come può toccarti una cosa simile? Vite umane, come per dire, prendili e salvali e poi vattene, schiocco di guanti e clac, sparita. Come si chiama in medicina 'sta sindrome alla supereroe maniera? Come la chiamate, ahn? Quali traumi e carenze barra eccessi di affetto motivano la necessità di dimenticarsi e prostrarsi alle vite umane? Perchè è questo. Non c'entra venerare l'uomo, non c'entra venerare l'umanità. Per lei, sono le vite umane. E' diverso. Prima era l'immensità dei Greci e Latini, nonchè del genere umano tutto, adesso sono le vite umane. Non capisce, non riesce a capire che non può essere così, che è solo protocollo, che ci sono i pazienti e ci sono i medici, che esiste una dannata cosa chiamata professionalità, distanza e compagnia bella. Il suo cervello sta così dentro, non riesce a vedere, immaginare, altro che benedette, maledette, vite umane e ogni cosa deve essere sempre così stupida e banale se rapportata alle sue fragili vite umane. Le vite umane... che ridere. Come per dire: New York vista dall'ultimo piano dell'Empire State Building. Ma, dico io, perchè non te ne torni a casa? Perchè non vai al cinema? Guarda solo i telegiornali, lei. Alza il volume quando parlano delle guerre. Non si rende conto che a un certo punto bisogna prendere il dannato telecomando e mettere su Real Time e commentare anche solo con ironia le minchiate che sparano. Dice che non riesce a seguirle, dice 'vado a letto'. Ma sono importanti le minchiate, sono alla base dell'equilibrio. Come puoi pensare sempre e così solennemente alle... come puoi sentire su di te, dentro di te, questo grande amore per le... fanculo, chi ti credi di essere per avere l'arroganza  di crederti così impegnata, nel profondo coinvolta, così concentrata in questa tua missione, in questa tua sentita occupazione? Quanto ti prendi sul serio per metterti l'elmo e prendere le vite umane così sul personale e farne una tua crociata e farne la tua vita? Il mondo è un po' come viene, le persone si prendono il raffreddore, le cellule impazziscono, i cuori un bel giorno si fermano eppure nell'incertezza, intuiamo cosa fare, come sopravvivere. Le persone fanno i funerali, si fanno regali, si comprano coperte, poi ricominciano a ridere e il sabato cucinano pollo arrosto. Ma tu rimani lì, con il solito sguardo da paladina sconfitta, a pensare a come ostinatamente tenerle in vita; ne senti la responsabilità come se le avessi fatte tu, 'ste vite umane. Ti attacchi a loro e la cosa più dura è che tu non hai conti in sospeso con nessuno, conosci te stessa e questa vocazione non è la reazione contraria a un bel niente. Non hai somatizzato un cavolo. Non sei psicologicamente guaribile perchè sei pulita. Sei sincera e sei fissata e sei pulita. Vuoi soltanto sapere al sicuro le vite umane. Vuoi che siano nei loro letti con i bronchi liberi. Riguardo ai loro sogni, quando te li raccontano, sorridi, ma, in fondo, non t'importa. 

06/10/13

Cinque secondi

di Cristina Taliento


Questo, in fondo, è un racconto breve. Brevissimo, nella fattispecie. Non sarebbe stato narrato se nel giorno 24 settembre 2013, venti pedoni fermi al semaforo di Via Gramsci avessero attraversato la via allo scattare del verde. Quando il verde scattò, invece, essi non se ne accorsero per cinque insoliti, buffi, secondi e la vita sembrò, per un momento, evaporare nel caldo fumoso di un’estate ormai finita.  Ciascuno di essi era distratto da qualcosa di diverso che, allo stesso modo, allontanava le loro menti dalla fretta di andare e andare e attraversare le strade del mondo e premere Alt, aspettare ai semafori, ancora andare, salire, scendere, schivare e chiedere indicazioni, ringraziare, di nuovo andare, per sempre andare nell’eternità di un moto che se in apparenza poteva sembrare vario, era, in realtà, rettilineo e uniforme. Gli ostacoli, gli inconvenienti, non erano che parte del percorso, niente di diverso, tutto perfettamente contemplato nella geometria della quotidianità. Un uomo con il cappello esce di casa. Esce di casa e incontra un cane. Esce di casa, incontra un cane e lo accarezza. Lo accarezza e poi continua a camminare. Cammina fino all’edicola e si ferma. Si ferma, compra il giornale. Compra il giornale, mette il giornale sotto il braccio. Saluta l’edicolante. Saluta e continua a camminare. Cammina fino alla ferramenta e si ferma. Si ferma, guarda la vetrina. Guarda la vetrina, mette le mani nelle tasche dei pantaloni. Continua a camminare. Tac, tac, tac. Il ritmo è quello di un metronomo per pianoforte. Il pianoforte è l’uomo ed egli va a tempo. L’uomo aumenta con rigore e ordine il grado di disordine dell’universo.  E lo fa per gradi, per piccole liberazioni di energia e monotone speranze, parole già sentite, vecchie, ingenue, originalità. Egli ignora e cammina. Archivia, smette di pensarci troppo. Fissa bene l’omino rosso perché sa che non appena scatterà il verde, lui saprà cosa fare: con sicurezza andare. Determinato, andare. Sopra ogni altra cosa perché, lui sa che se si ferma è perduto, se si ferma il tempo si dilata, le convenzioni smettono di essere credibili; le ore, i 365 giorni che fanno un anno, le leggi, i semafori, tutto potrebbe sembrare ridicolo all’occhio beffardo di un nullafacente fermo, seduto a scrutare, a smascherare. Finché c’è movimento, al contrario, il fiume scorre liscio e le domande, i dubbi, sono pesci d’acqua dolce che si, pur ci sono, ma seguono anch’essi la corrente. Ma se in questa giostra rettilinea, in questo nastro trasportatore infinito che non gira in tondo, ma va dritto, se su queste strisce pedonali lunghe chilometri e chilometri, il pedone, dovesse fermarsi un attimo e non accorgersi del verde, mentre gli automobilisti in coda si chiedono perché diavolo quello non attraversi la strada, se all’improvviso ciò che dovrebbe muoversi, sta fermo, allora potrebbe sembrare che tutto possa ribaltarsi e l’azione scambiarsi con la staticità. I pedoni si mettono in piedi vicino al semaforo e non passano. Gli studenti alzano la testa dai libri e guardano avanti. Le cassiere del supermercato si rigirano un prodotto fra le mani, poi lo lasciano e appoggiano il mento sulle nocche. I professori universitari interrompono una frase nel mezzo. All’improvviso, come presi da meraviglia, pensare cose come: Toh! Io non lo sapevo che ‘sta strada tagliava per il parco!