di Cristina Taliento
Questo,
in fondo, è un racconto breve. Brevissimo, nella fattispecie. Non sarebbe
stato narrato se nel giorno 24 settembre 2013, venti pedoni fermi al semaforo
di Via Gramsci avessero attraversato la via allo scattare del verde. Quando il
verde scattò, invece, essi non se ne accorsero per cinque insoliti, buffi,
secondi e la vita sembrò, per un momento, evaporare nel caldo fumoso di
un’estate ormai finita. Ciascuno di essi
era distratto da qualcosa di diverso che, allo stesso modo, allontanava le loro
menti dalla fretta di andare e andare e attraversare le strade del mondo e
premere Alt, aspettare ai semafori, ancora andare, salire, scendere, schivare e
chiedere indicazioni, ringraziare, di nuovo andare, per sempre andare
nell’eternità di un moto che se in apparenza poteva sembrare vario, era, in
realtà, rettilineo e uniforme. Gli ostacoli, gli inconvenienti, non erano che
parte del percorso, niente di diverso, tutto perfettamente contemplato nella
geometria della quotidianità. Un uomo con il cappello esce di casa. Esce di casa
e incontra un cane. Esce di casa, incontra un cane e lo accarezza. Lo accarezza
e poi continua a camminare. Cammina fino all’edicola e si ferma. Si ferma,
compra il giornale. Compra il giornale, mette il giornale sotto il braccio.
Saluta l’edicolante. Saluta e continua a camminare. Cammina fino alla
ferramenta e si ferma. Si ferma, guarda la vetrina. Guarda la vetrina, mette le
mani nelle tasche dei pantaloni. Continua a camminare. Tac, tac, tac. Il ritmo
è quello di un metronomo per pianoforte. Il pianoforte è l’uomo ed egli va a
tempo. L’uomo aumenta con rigore e ordine il grado di disordine dell’universo. E lo fa per gradi, per piccole liberazioni di
energia e monotone speranze, parole già sentite, vecchie, ingenue, originalità.
Egli ignora e cammina. Archivia, smette di pensarci troppo. Fissa bene l’omino
rosso perché sa che non appena scatterà il verde, lui saprà cosa fare: con
sicurezza andare. Determinato, andare. Sopra ogni altra cosa perché, lui sa che
se si ferma è perduto, se si ferma il tempo si dilata, le convenzioni smettono
di essere credibili; le ore, i 365 giorni che fanno un anno, le leggi, i
semafori, tutto potrebbe sembrare ridicolo all’occhio beffardo di un nullafacente
fermo, seduto a scrutare, a smascherare. Finché c’è movimento, al contrario, il
fiume scorre liscio e le domande, i dubbi, sono pesci d’acqua dolce che si, pur
ci sono, ma seguono anch’essi la corrente. Ma se in questa giostra rettilinea,
in questo nastro trasportatore infinito che non gira in tondo, ma va dritto, se
su queste strisce pedonali lunghe chilometri e chilometri, il pedone, dovesse
fermarsi un attimo e non accorgersi del verde, mentre gli automobilisti in coda
si chiedono perché diavolo quello non attraversi la strada, se all’improvviso
ciò che dovrebbe muoversi, sta fermo, allora potrebbe sembrare che tutto possa
ribaltarsi e l’azione scambiarsi con la staticità. I pedoni si mettono in piedi
vicino al semaforo e non passano. Gli studenti alzano la testa dai libri e
guardano avanti. Le cassiere del supermercato si rigirano un prodotto fra le
mani, poi lo lasciano e appoggiano il mento sulle nocche. I professori
universitari interrompono una frase nel mezzo. All’improvviso, come presi da
meraviglia, pensare cose come: Toh! Io non lo sapevo che ‘sta strada tagliava
per il parco!