di Cristina Taliento
(Spring at Veneux, Alfred Sisley, oil on canvas, 1880)
La notte di Pasqua si ritrovarono su quegli stessi banchi della Chiesa Madre dove quindici anni prima si erano annoiati, sbadigliando con appesi alle dita i loro Tamagotchi da qualche lira e mezzo. Pochi anni dopo, sempre la stessa notte, avevano iniziato a mettere le camicie e si erano visti attenti e seri, simili ai grandi se non in tutto, almeno nel modo di mantenere dritte le spalle, di non muoversi troppo, senza parlare durante l'omelia. Marta, Cosimo, Francesco e Giulia, venti anni a testa e qualcuno già vent'uno, quella sera si guardarono dopo non essersi visti per mesi e notarono che i loro capelli erano cresciuti e che, forse, erano cambiati tutti, in ogni piccola cosa, nell'impercettibile, profonda, apparenza. Per sempre... perchè forse all'inizio non pensavano che i loro studi, quei libri, la Scienza, li avrebbero fatti respirare un po' più forte, parlare un po' di meno. D'altronde non si poteva credere di restare bambini riflessivi per tutta la vita. Loro, bambini, non lo erano già da tempo, ma quella sera lo capirono davvero. Si ricordarono, ciascuno a suo modo, delle navate percorse con un libro di fate sotto un braccio, delle genuflessioni lasciate a metà per non sporcare i pantaloni nuovi di velluto a coste; il coro delle voci bianche, contare le mattonelle grigie con lo sguardo, la prima borsa per la domenica, la vecchia Dora senza denti, il catechismo, la Prima Comunione, il diacono con gli occhi azzurri. Soprattutto si ricordarono della loro fede, di come era assoluta e spontanea quando ancora l'amore non li aveva divorati e i gli addii non erano mai stati pronunciati, quando ancora non avevano mai visto la commozione di un uomo morente o la delusione negli occhi di un padre.
"Perchè credi in tutto questo?" chiese Cosimo mentre l'organo iniziava a suonare l'Exultet. Le luci spente. C'erano soltanto i ceri accesi, le candele lungo le pareti.
"Non ci devi credere per forza se non vuoi" fece a bassa voce Giulia alzando le spalle.
"Lumen Christi" risuonò la voce del parroco dall'altare.
"Deo gratias" rispose Marta abbassando il capo.
"Exultet iam angelica turba caelorum: exultent divina mysteria..."
Erano dei ragazzi tranquilli, dopotutto, ma tranquilla la vita era entrata comunque in loro, lenta e veloce, con tutta la sua irruenza.
"Non sto dicendo questo, Jules... Sul serio, perchè credi in Gesù?" bisbigliò Cosimo.
Giulia rimase un attimo in silenzio e poi disse: "Perchè è la persona migliore che conosca".
"...Gaudeat et tellus tantis irradiata fulgoribus: et, aeterni Regis splendore illustrata..."
"Darwin ha la barba come quella di Dio" disse Francesco con tono leggero, anche se aveva sentito tutto.
"Smettetela di parlare" li rimproverò Marta seduta al lato.
"Già. E' la barba dei saggi"
"Ehi Marta, senti un attimo, a chi ti assomiglia Darwin?"
"A chi mi deve assomigliare, deficiente?"
"Pensaci!" rispose Francesco leggendo il suo labiale.
Dei colpi di tosse alle loro spalle li fecero subito ricomporre.
"...O felix culpa, quae talem ac tantum meruit habere Redemptorem! Felix culpa..."
"Felice colpa!" ripeté Cosimo stringendo le labbra.
"Allora, Martinella bella, a chi ti assomiglia?"
"A Dio, ecco. Sei contento? Adesso la smettiamo? Siamo in Chiesa!"
"Quanta solerzia e coscienziosità!" commentò Francesco guardando gli affreschi sulla volta.
Cosimo sorrise: "Eppure è lei la scienziata qui. E' lei che è arrivata prima alle Olimpiadi Internazionali di Biologia parapì parapò. E' lei che dovrebbe essere la grande atea".
Ma Marta leggeva sul foglietto dei canti.
"Dai, state zitti, lasciatela stare" fece Giulia.
"In huius igitur noctis gratia, suscipe, sancte Pater, laudis huius sacrificium vespertinum"
"Marta, oh Marta. Perchè non aiuti noi poveri studentelli sulla via della perdizione e non ci dici come fai?"
"Marta, oh Marta. Perchè non aiuti noi poveri studentelli sulla via della perdizione e non ci dici come fai?"
"Io, comunque, non mi ricordo un'acca di latino" s'intromise Francesco .
"Ci credo. Avevi due con la Leone. Che cavolo ti dovresti ricordare?" bisbigliò Giulia guardandolo per un momento.
"Un cavolo, infatti!"
E continuarono a scherzare così, come si scherza sempre. Sempre un po' sbandati e sorridenti, mani nelle tasche del cappotto, spalle rilassate. Però ogni tanto, ci pensavano alla loro fede, di come cambiava con loro e non c'entrava il cuore, non c'entrava la medicina o la Bibbia. Pensavano: o l'avevi o non ce l'avevi.
"Non c'entra Darwin! Non c'entra Darwin!" disse Marta mentre gli altri avevano smesso di sussurrare. Cosimo, Francesco e Giulia la guardarono senza capire.
In fondo, era solo il ritornello di una vecchia canzone che avevano inventato quando erano piccoli.