di Cristina Taliento
(The Farewell of Telemachus and Eucharis, Jacques-Louis David, 1818, oil on canvas, 103x87, Private Collection)
Dopo una lunga notte di dibattito interiore riguardo a chi fosse e chi non fosse, concluse, malgrado John Donne e il ponte sullo Stretto, di essere un'isola, lontana dalla terra ferma, senza punti di contatto, nè cabine telefoniche. Osservandosi da fuori, pensò, doveva sembrare proprio una persona ferita, incline a defilarsi nelle tane buie del pensiero. "Talpa! Talpa! Talpa!" si apostrofò quella domenica mattina una volta sveglia. Le sembrò, d'un tratto, curioso alzarsi una mattina con il desiderio di traslare il proprio essere negli occhi degli altri, ribaltarlo per farlo adattare al senso comune, rimpicciolirlo, tagliando i margini, giusto per vedere che effetto facesse la sua persona, in un giorno qualsiasi, su una strada qualsiasi, mentre, per dire, attraversava la strada dopo aver guardato a destra e a sinistra. "Ecco, che effetto faccio?". Nessuno. Quindi uscì e provò a dimenticarsi di sè. Camminò lungo la piazza, comprò un gelato al pistacchio, rimase a guardare un gruppetto di bambini che giocavano con i loro monopattini, poi si diresse verso la fermata dell'autobus dove c'erano altre persone che aspettavano. E nell'istante in cui arrivò sotto la pensilina, quattro o sei di quelle dozzine di occhi lì presenti, si alzarono per guardarla, distrattamente, in automatico, per puro istinto. Lei capì che, senza ogni dubbio, era stata inquadrata, come diceva spesso sua madre. Si, era stata inquadrata o, addirittura, etichettata. Sorrise al pensiero di cosa avessero pensato di lei. Ancora le vennero in mente tutti gli innumerevoli "Lisa l'imbronciata", "Lisa sorridi, non essere triste", "Lisa, chi ti ha offesa?". Ma tu Lisa, non ti senti ferita per niente, dice un uomo a fianco a lei; qualcuno appoggiato per caso al palo degli orari del bus. Lisa, tu sei solitaria perché ti piace osservare l’umanità dietro una sciarpa di lana spessa, mentre il tuo passo e la tua testa seguono il marciapiede sulle note di un pianoforte nascosto tra i cespugli. Vedi, la tua solitudine non è quella solenne dei lupi e nemmeno quella delle cime più alte che mai partecipano alle danze del sottobosco. La tua, invece, è una solitudine leggera, la stessa dei piccoli anemoni di campo che il vento accarezza. La verità, Lisa, è che sebbene tu te ne stia seduta all’ultimo banco in fondo alla sala, senza l’intenzione di parlare o di sorridere, nonostante il pugno premuto sul mento e i pochi amici, tu ami l’umanità e ami gli uomini, le loro fabbriche, il modo in cui si innamorano, sopravvivono, si ammalano. Staresti ore a guardarli mentre inventano le loro bugie quotidiane, portando gli oggetti nei loro nidi. Ti interessano le cose che dicono, quelle che non diranno mai, vorresti riuscire a capirli nella loro intimità, nella loro anatomia; ti emoziona la scena di una madre che indica al figlio la statua di un vecchio imperatore narrandogli la storia dei suoi avi, così come la mano di un neonato o una ruga nuova su un volto familiare. L’umanità, forse non lo sai, è il tuo grande amore, il mare che ti abbraccia la vista riempiendo d’Infinito i tuoi orizzonti. Niente per te è limitato, niente si identifica in un punto fisso: in piedi sul terrazzo di un grattacielo altissimo senti la continuità del Tempo, apri la mano per fendere il presente; nei giorni di vento arrivi quasi a percepire il futuro. E con il cuore che ti batte forte, risali il fiume di un’insolita inquietudine, incontrando una sorgente in cui brilla la terrificante e magnifica potenzialità dell’essere giovani, lo scrigno sconosciuto delle scelte che prenderai, delle storie che scriverai, di tutto quello che vorrai diventare. E ridi e piangi senza controllo di fronte al biancore assoluto dell’avere tutta la vita davanti.
Ecco com'era, lei. Quell'uomo fantasma aveva ragione. In fondo lo sapeva. In fondo lei era così.
Ecco com'era, lei. Quell'uomo fantasma aveva ragione. In fondo lo sapeva. In fondo lei era così.