18/01/25

Il bosco di notte

 di Cristina Taliento 


Verso i trent'anni ci perdemmo nel bosco di notte, non tanto perché la diritta via era smarrita, ma semplicemente perché ci andava, con il nostro modo personale di scendere a fondo nei fatti della vita. Si erano soffermati in molti sul significato allegorico del "bosco di notte", alcuni citavano De Andrè ricordando la sua "Cattiva Strada", altri "Les Fleurs du mal" di Baudelaire. Malinconia e ideale. Dunque, ci avventurammo. Perché era nella nostra natura. C'era da dire, poi, che era qualcosa di non totalmente inaspettato. Ovvero, si sapeva che verso i trent'anni, come Achab avremmo fatto un passo verso quella grande Balena Bianca, non con l'intento di farne, dopotutto, qualcosa, ma con la limpida curiosità di vederla sfilare da vicino, nel suo splendore, per ammirarne in solitudine il Mezzo, senza il finale. E riderne, sorriderne. 

Se qualcuno volesse invitare un altro ad andare nel "Bosco di Notte", potrebbe ispirarsi all'annuncio pubblicato su un quotidiano locale nel 1914 da sir Ernest Shackelton per reclutare personale per una spedizione in Antartide: "Cercasi equipaggio per viaggio pericoloso. Paga misera, freddo intenso, lunghi mesi di oscurità totale, ritorno incerto". Oppure ad Alice. Alice in Wonderland. Quando lei chiede allo Stregatto: "Che strada devo prendere?". E lo Stregatto rilancia "Dove vuoi andare?". "Non lo so" risponde Alice. "Allora- risponde lo Stregatto- non ha importanza". Ma Alice vuole andare "somewhere", e allora chissà forse non c'è una strada giusta e una sbagliata.  

Quindi, scegliemmo di andare nel bosco di notte, perchè di tutti gli "ovunque" era quello più sconosciuto. Gli alberi erano alti, gli animali dopotutto dormivano. In più, il bosco sembrava più riservato della Itaca di Ulisse. Non splendeva, non era circondato dai mari. Rimbombavano le parole di un giovane montanaro, George Mallory, ai piedi del monte Everest che, alla domanda "Qual è il senso di scalarlo?", risponde: "Because it's there" ("Perchè è lì"). 

L'immagine del bosco non può non essere legata a quella del Piccolo Casolare lungo la strada, il rifugio con il camino accesso, un cane che dorme sul tappeto. "The Shelter from the storm". La promessa di un luogo tranquillo che viene continuamente tradita. L'angelo del focolare domestico che aspetta sull'uscio il tuo ritorno: "Ritornerai?" chiede. Con buona probabilità, sì. Ulisse e Penelope potrebbero essere la stessa persona, l'intenzione e l'azione, fare e disfare la tela per paura che tutto si compia e poi, andare. Il moto di Penelope è circolare, meditativo, prudente, ha in sé la sicurezza del tentativo non definitivo. Quello di Ulisse invece è disordinato e irreversibile.  Egli può solo sbagliare. Sbagliare ancora, sbagliare meglio (Samuel Becket). Il viaggio racchiude il desiderio di entrambi i moti, il Casolare, la tela, il ritorno e poi il naufragio, il fallimento e la scoperta. Senza il Piccolo Casolare che fa capolino di tanto in tanto lungo la strada, il bosco sarebbe meno spaventoso e affascinante. E' proprio il continuo tradimento del porto sicuro, che fa di un mucchio di alberi, la direzione giusta. 

05/07/24

The vice of the shortsighted child

by Cristina Taliento 


Perhaps it's the vice of the shortsighted child

to pause in the fog, 

overwhelmed by the (In)Visible Whole that does not reveal itself, 

hesitating, as cautious as snakes, 

without truly advancing, 

whispering at themselves 

to stay quite 

and watch the match between 

their Famish Curiosity and their Myopic Eye. 


Perhaps it's the trait of the shortsighted child 

to light fires if low visibility condition are expected, 

and if they are not, 

to prevent total darkness when embarking on a hazardous journey, 

leaning out from the ship to see better that so tiny, 

sharply focused star

or even bending down, shrinking

and noticing, 

without deserving it, 

something that 

can only be seen 

from very close

or even from  

whitin. 

07/01/24

The Emperor of All Maladies: A Biography of Cancer - Siddhartha Mukherjee

 di Cristina Taliento 


Imber On Biography Of 'Genius' Surgeon Halsted : NPR

Dr. William Halsted (holding a mallet) operates on a patient at Johns Hopkins in 1904.


Leggendo il libro "L'imperatore del male" di Siddhartha Mukherjee, la sensazione è che la storia della ricerca di una cura contro il cancro sia una storia di pochi, quasi una storia di famiglia. Almeno fino alla metà del ventesimo secolo. Da quando Galeno definì il cancro con il termine "bile nera" -capace di diffondersi negli organi del corpo e, se ostruita nel decorso, accumularsi in tumori- ad oggi, quasi tutto è cambiato. 

Si è evoluto il nostro linguaggio, i microscopi, le tecniche di analisi, si sono evolute le nostre sale operatorie e i farmaci. Abbiamo addomesticato sostanze tossiche e mezzi fisici -come veleni e radiazioni - per aggredire un processo che ha inizio dall'unità di cui siamo composti - la cellula- che impazzisce e inizia a proliferare in maniera incontrollata. Abbiamo iniziato a contare e a misurare i giorni di sopravvivenza dopo il trattamento, i giorni di sopravvivenza prima di una recidiva. Un muto contare che durava anni, decenni, per poi abbattere e ricostruire, a volte perseguire, a volte perseverare, a volte lasciare andare sconfitti. 

Diversamente da altre storie in medicina che hanno cambiato per sempre l'umanità, come la storia del vaiolo, della polio, della tubercolosi, quella del cancro ha tanti punti di luce sparsi, punti su cui qualcuno ha fatto chiarezza, ma altrettanti punti neri, fuori fuoco che, nonostante tutte le cure scoperte, ci riportano al punto di partenza, ovvero all'immagine di un granchio (dal termine greco usato da Ippocrate, karkìnos) che oltre ogni nostro controllo, con le sue chele, si ramifica e si diffonde in un paziente che muore davanti al suo medico impotente. 

La storia che racconta Mukherjee, ematologo oncologo della Columbia University's Herbert Irving Comprehensive Cancer Center, è una storia di prove, lunghi tentativi, finanziati o, il più delle volte, condotti in vecchi scantinati adibiti a laboratori. Invero, non una, ma l'insieme di storie in cui qualcuno ha messo in dubbio la parola "inoperabile",  un altro ha somministrato un veleno e poi il suo anti-veleno a dei pazienti affetti da leucemia; o ancora, la storia di un ristretto gruppo di coraggiosi altri che ha iniziato a mettere in discussione un intervento di mastectomia radicale, gravato da numerose complicazioni, proponendo un nuovo intervento, meno demolitivo ma non meno efficace. 

Non è sempre una storia triste, perché c'è molta speranza dietro ogni scoperta, ma è di sicuro una storia lontana dall'essere compiuta. Per qualcuno forse finirà a pagina 700, ma non per quelli che sono caduti, che hanno fallito e si sono alzati, che continuano ad andare. (L'imperatore del Male: una biografia del cancro di Siddhartha Mukherjee, edito Mondadori, 2010)

02/09/23

Stai un po' fuori dal mio sole

 di Cristina Taliento, liberamente tratto da Plutarco, "Vite parallele"


Il sole brillava su lande polverose e deserte di un'epoca a me, tutto sommato, sconosciuta. Alessandro Magno e gli altri soldati avevano passato il pomeriggio a programmare quella che l'indomani si sarebbe rivelata una fantastica battaglia. Io ero estranea a quelle macchinazioni e, in un certo senso, era buon costume che me ne tenessi fuori dal momento che ero lì principalmente come medico di campo. Per di più, l'odio mi era indifferente. Mi bastava fare in pace e in maniera tranquilla e organizzata il mio duro, faticoso, lavoro. 

Alessandro venne a chiedermi se fosse, secondo me , giusto,  dal momento che ci trovavamo a Corinto, andare a far visita a Diogene di Sinope, detto il Cinico o il Cane, a seconda dei casi.

"Perché no" risposi, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla ferita che stavo medicando.

"Sono dibattuto, sai, perché quel Diogene ha un caratteraccio. Non vorrei incorrere in situazioni che possano mettermi a disagio". 

"Non temere- dissi- lo fa solo perché si annoia". 

"E per darsi delle arie- aggiunse Alessandro - Davvero non capisco il senso di questo "ascetismo"- disse mimando le virgolette in aria con le dita.  

Toccai appena la ferita, il soldato urlò.

"... di questo non averne mai abbastanza di fare a meno e a meno e a meno di tutto".  

Gli rivolsi un'occhiata veloce, mentre tamponavo il sangue che aveva ripreso a fuoriuscire dai lembi di cute aperti. Egli vaneggiava: "Qual è il senso di una vita trascorsa a svuotare con avarizia tutti i contenitori possibili, per trarre la più alta soddisfazione da una mano vuota. Quanta avidità devi avere in corpo per desiderare che nulla ti serva, che nulla ti sazi, che nulla, nulla ti scalfisca mai?"

Contrariamente a quanto diceva Ippocrate che sosteneva la necessità di mantenere la ferita asciutta per favorire la guarigione, circa trecento anni dopo un certo Galeno di Pergamo consigliava, invece, di applicarvi sopra un panno per mantenerla umida. 

Dopo un lavaggio con vino e aceto, feci cenno al soldato di lasciare immobile il braccio, poi mi diressi verso la seconda tenda dell'accampamento per tagliare un metro di benda. 

Alessandro mi seguì. "Da quando siamo qui, nel bel mezzo di questo nulla animato da corpi e cavalli, da quando sto vincendo una ad una tutte queste battaglie, stuoli e dico stu-o-li di statisti e filosofi sono venuti qui a congratularsi con me. Beh, pensavo, dal momento che siamo a Corinto, verrà anche lui, prima o poi! Ebbene, quel maledetto cane, non si è scomodato". 

Avvolta la benda attorno al braccio del soldato, provai a tagliare con una forbice cinque centimetri di quella fasciatura affinché non fosse troppo stretta. Ma le forbici non tagliavano. Non tagliavano mai. 

"Queste forbici non tagliano" dissi. 

"Sai cosa penso? Penso che...- stava dicendo Alessandro- penso che, in definitiva... dovremmo andare noi a portare i nostri omaggi a lui". 

Chiesi: "Perché vuoi a tutti i costi i complimenti di un uomo che non ha mai servito nessuno e che mai lo farà?". 

Alessandro non rispose. Era fatto così. Stava pensando già al tragitto che dovevamo fare per arrivare a Craneion. Sbuffai. 

Dunque, il giorno dopo, giungemmo nel sobborgo di Craneion, dove il Filosofo si godeva il suo tempo libero. Alessandro avanzò con ampio passo verso Diogene, il quale era disteso al sole. 

Diogene sollevò un po' lo sguardo, quando vide tanta gente venire verso di lui. Io mi tenevo in disparte, curiosa di assistere a quel duello di due diversi Daimon, due personalità. Ethos Anthropoi Daimon. ("Il carattere di uomo è il suo destino"). Scartai una caramella alla fragola. 

Quando furono vicini abbastanza, Diogene fissò negli occhi Alessandro. 

"Carissimo!"- esclamò Alessandro allargando le braccia quasi a voler contenere il mondo. 

"Alessandro Magno..." mormorò Diogene rivolgendo nuovamente il volto verso il cielo. 

"Si direbbe che quasi non ti importi di me! Beh... a me invece -ti dirò- di te mi importa! Non so se ti hanno detto che sto vincendo innumerevoli battaglie! Non le riesco più a contare!". Rise con l'euforia di un cocker spaniel che non si capacita del perché il padrone sia un po' troppo sulle sue. 

"Mi fa piacere, Alessandro..". 

"Ebbene, sono giunto sin qui..." fece una pausa per aspettare un cenno da Diogene, un qualsiasi cenno che lo incoraggiasse nel continuare il discorso. Il pubblico presente si protese impercettibilmente in avanti. 

"Sono giunto sin qui - ripetè avvicinandosi e facendogli ombra- per chiederti se ti servisse qualcosa. C'è qualcosa che posso fare per te?". 

Allora Diogene senza aprire né gli occhi, né muovere le spalle rispose: "Si. Stai un po' fuori dal mio sole". 

In molti corrugarono le labbra, dispiaciuti per quell'affermazione che presupponevano potesse aver ferito l'ego di Alessandro. Tuttavia, questi ne fu divertito. E la sua reazione causò l'ilarità collettiva verso quel filosofo, famoso per essere un randagio senza catene. 

Mentre ci allontanavamo, tra le battute e gli schiamazzi dei soldati, Alessandro mi disse: "Davvero, se non fossi Alessandro vorrei essere Diogene!". 

Mi sembrò abbastanza coerente, alla fine erano due Prime Donne. Ma non glielo dissi. 

Dissi soltanto: "Le forbici che mi hai dato non tagliano. Non tagliano mai".