di Cristina Taliento, liberamente tratto da Plutarco, "Vite parallele"
Il sole brillava su lande polverose e deserte di un'epoca a me, tutto sommato, sconosciuta. Alessandro Magno e gli altri soldati avevano passato il pomeriggio a programmare quella che l'indomani si sarebbe rivelata una fantastica battaglia. Io ero estranea a quelle macchinazioni e, in un certo senso, era buon costume che me ne tenessi fuori dal momento che ero lì principalmente come medico di campo. Per di più, l'odio mi era indifferente. Mi bastava fare in pace e in maniera tranquilla e organizzata il mio duro, faticoso, lavoro.
Alessandro venne a chiedermi se fosse, secondo me , giusto, dal momento che ci trovavamo a Corinto, andare a far visita a Diogene di Sinope, detto il Cinico o il Cane, a seconda dei casi.
"Perché no" risposi, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla ferita che stavo medicando.
"Sono dibattuto, sai, perché quel Diogene ha un caratteraccio. Non vorrei incorrere in situazioni che possano mettermi a disagio".
"Non temere- dissi- lo fa solo perché si annoia".
"E per darsi delle arie- aggiunse Alessandro - Davvero non capisco il senso di questo "ascetismo"- disse mimando le virgolette in aria con le dita.
Toccai appena la ferita, il soldato urlò.
"... di questo non averne mai abbastanza di fare a meno e a meno e a meno di tutto".
Gli rivolsi un'occhiata veloce, mentre tamponavo il sangue che aveva ripreso a fuoriuscire dai lembi di cute aperti. Egli vaneggiava: "Qual è il senso di una vita trascorsa a svuotare con avarizia tutti i contenitori possibili, per trarre la più alta soddisfazione da una mano vuota. Quanta avidità devi avere in corpo per desiderare che nulla ti serva, che nulla ti sazi, che nulla, nulla ti scalfisca mai?"
Contrariamente a quanto diceva Ippocrate che sosteneva la necessità di mantenere la ferita asciutta per favorire la guarigione, circa trecento anni dopo un certo Galeno di Pergamo consigliava, invece, di applicarvi sopra un panno per mantenerla umida.
Dopo un lavaggio con vino e aceto, feci cenno al soldato di lasciare immobile il braccio, poi mi diressi verso la seconda tenda dell'accampamento per tagliare un metro di benda.
Alessandro mi seguì. "Da quando siamo qui, nel bel mezzo di questo nulla animato da corpi e cavalli, da quando sto vincendo una ad una tutte queste battaglie, stuoli e dico stu-o-li di statisti e filosofi sono venuti qui a congratularsi con me. Beh, pensavo, dal momento che siamo a Corinto, verrà anche lui, prima o poi! Ebbene, quel maledetto cane, non si è scomodato".
Avvolta la benda attorno al braccio del soldato, provai a tagliare con una forbice cinque centimetri di quella fasciatura affinché non fosse troppo stretta. Ma le forbici non tagliavano. Non tagliavano mai.
"Queste forbici non tagliano" dissi.
"Sai cosa penso? Penso che...- stava dicendo Alessandro- penso che, in definitiva... dovremmo andare noi a portare i nostri omaggi a lui".
Chiesi: "Perché vuoi a tutti i costi i complimenti di un uomo che non ha mai servito nessuno e che mai lo farà?".
Alessandro non rispose. Era fatto così. Stava pensando già al tragitto che dovevamo fare per arrivare a Craneion. Sbuffai.
Dunque, il giorno dopo, giungemmo nel sobborgo di Craneion, dove il Filosofo si godeva il suo tempo libero. Alessandro avanzò con ampio passo verso Diogene, il quale era disteso al sole.
Diogene sollevò un po' lo sguardo, quando vide tanta gente venire verso di lui. Io mi tenevo in disparte, curiosa di assistere a quel duello di due diversi Daimon, due personalità. Ethos Anthropoi Daimon. ("Il carattere di uomo è il suo destino"). Scartai una caramella alla fragola.
Quando furono vicini abbastanza, Diogene fissò negli occhi Alessandro.
"Carissimo!"- esclamò Alessandro allargando le braccia quasi a voler contenere il mondo.
"Alessandro Magno..." mormorò Diogene rivolgendo nuovamente il volto verso il cielo.
"Si direbbe che quasi non ti importi di me! Beh... a me invece -ti dirò- di te mi importa! Non so se ti hanno detto che sto vincendo innumerevoli battaglie! Non le riesco più a contare!". Rise con l'euforia di un cocker spaniel che non si capacita del perché il padrone sia un po' troppo sulle sue.
"Mi fa piacere, Alessandro..".
"Ebbene, sono giunto sin qui..." fece una pausa per aspettare un cenno da Diogene, un qualsiasi cenno che lo incoraggiasse nel continuare il discorso. Il pubblico presente si protese impercettibilmente in avanti.
"Sono giunto sin qui - ripetè avvicinandosi e facendogli ombra- per chiederti se ti servisse qualcosa. C'è qualcosa che posso fare per te?".
Allora Diogene senza aprire né gli occhi, né muovere le spalle rispose: "Si. Stai un po' fuori dal mio sole".
In molti corrugarono le labbra, dispiaciuti per quell'affermazione che presupponevano potesse aver ferito l'ego di Alessandro. Tuttavia, questi ne fu divertito. E la sua reazione causò l'ilarità collettiva verso quel filosofo, famoso per essere un randagio senza catene.
Mentre ci allontanavamo, tra le battute e gli schiamazzi dei soldati, Alessandro mi disse: "Davvero, se non fossi Alessandro vorrei essere Diogene!".
Mi sembrò abbastanza coerente, alla fine erano due Prime Donne. Ma non glielo dissi.
Dissi soltanto: "Le forbici che mi hai dato non tagliano. Non tagliano mai".