di Cristina Taliento
Verso i trent'anni ci perdemmo nel bosco di notte, non tanto perché la diritta via era smarrita, ma semplicemente perché ci andava, con il nostro modo personale di scendere a fondo nei fatti della vita. Si erano soffermati in molti sul significato allegorico del "bosco di notte", alcuni citavano De Andrè ricordando la sua "Cattiva Strada", altri "Les Fleurs du mal" di Baudelaire. Malinconia e ideale. Dunque, ci avventurammo. Perché era nella nostra natura. C'era da dire, poi, che era qualcosa di non totalmente inaspettato. Ovvero, si sapeva che verso i trent'anni, come Achab avremmo fatto un passo verso quella grande Balena Bianca, non con l'intento di farne, dopotutto, qualcosa, ma con la limpida curiosità di vederla sfilare da vicino, nel suo splendore, per ammirarne in solitudine il Mezzo, senza il finale. E riderne, sorriderne.
Se qualcuno volesse invitare un altro ad andare nel "Bosco di Notte", potrebbe ispirarsi all'annuncio pubblicato su un quotidiano locale nel 1914 da sir Ernest Shackelton per reclutare personale per una spedizione in Antartide: "Cercasi equipaggio per viaggio pericoloso. Paga misera, freddo intenso, lunghi mesi di oscurità totale, ritorno incerto". Oppure ad Alice. Alice in Wonderland. Quando lei chiede allo Stregatto: "Che strada devo prendere?". E lo Stregatto rilancia "Dove vuoi andare?". "Non lo so" risponde Alice. "Allora- risponde lo Stregatto- non ha importanza". Ma Alice vuole andare "somewhere", e allora chissà forse non c'è una strada giusta e una sbagliata.
Quindi, scegliemmo di andare nel bosco di notte, perchè di tutti gli "ovunque" era quello più sconosciuto. Gli alberi erano alti, gli animali dopotutto dormivano. In più, il bosco sembrava più riservato della Itaca di Ulisse. Non splendeva, non era circondato dai mari. Rimbombavano le parole di un giovane montanaro, George Mallory, ai piedi del monte Everest che, alla domanda "Qual è il senso di scalarlo?", risponde: "Because it's there" ("Perchè è lì").
L'immagine del bosco non può non essere legata a quella del Piccolo Casolare lungo la strada, il rifugio con il camino accesso, un cane che dorme sul tappeto. "The Shelter from the storm". La promessa di un luogo tranquillo che viene continuamente tradita. L'angelo del focolare domestico che aspetta sull'uscio il tuo ritorno: "Ritornerai?" chiede. Con buona probabilità, sì. Ulisse e Penelope potrebbero essere la stessa persona, l'intenzione e l'azione, fare e disfare la tela per paura che tutto si compia e poi, andare. Il moto di Penelope è circolare, meditativo, prudente, ha in sé la sicurezza del tentativo non definitivo. Quello di Ulisse invece è disordinato e irreversibile. Egli può solo sbagliare. Sbagliare ancora, sbagliare meglio (Samuel Becket). Il viaggio racchiude il desiderio di entrambi i moti, il Casolare, la tela, il ritorno e poi il naufragio, il fallimento e la scoperta. Senza il Piccolo Casolare che fa capolino di tanto in tanto lungo la strada, il bosco sarebbe meno spaventoso e affascinante. E' proprio il continuo tradimento del porto sicuro, che fa di un mucchio di alberi, la direzione giusta.