15/07/17

Maracas

divagazioni di Cristina Taliento

L'immagine può contenere: 1 persona, cielo e spazio all'aperto
(Hans Baluschek, Großstadtwinkel, 1929 © Stadtmuseum Berlin)


C'è uno scrittore mio amico che ha buttato tutta la sua produzione letteraria in strada, specie nelle sere d'estate. Intendo che ha scritto per lo più cronache urbane o momenti, attimi dalla bassa visuale che si ha stando seduti su un marciapiede parlando del più e del meno con qualcuno incontrato per caso sulle note di un suonatore jazz pochi palazzi più avanti. 
Ogni tanto lo vado a trovare, cioè entro nella sua letteratura, nel suo suono di vita e gli chiedo se c'è da far qualcosa, se posso restare. Lo scrittore amico allora mi apre la porta della sua estiva città notturna che non è come la vedo io, ma proprio come la narra lui e io divento ospite della sua personale visione, mi lascio guidare da quel suo modo di camminare nella sera, che poi è anche il suo modo di scrivere e tutto quanto.
La sua città è un po' diversa dalla mia. Io tendo a inserire fiumi, corsi d'acqua, anche dove non ci sono. Per lui non ha importanza: il fiume sono le persone, le loro voci, i vestiti che scelgono per sentirsi come si sentono, i loro pensieri, le smorfie. Talvolta gli dico per scherzare che la sua è 'letteratura da barboni' , dove la vita scorre come all'interno di un sacco a pelo nella moltitudine dei passanti. Lui si ferma, ci riflette su e dice che si, effettivamente è così, gli piace. Allora, senza la paura di spaventarlo, gli chiedo se sia più giusto per uno scrittore stare dentro o stare fuori, se la sua non sia una strana forma di emarginazione e come si sente a riguardo. Ride, dice che alla fine è solo una questione di posti, individuare quelli dove le dita battono sulla tastiera come pioggia, quei posti della mente che sono anche anima e pane, terra di casa, rifugio e mare aperto, dove sei, non puoi che Essere, anche se magari non possiedi niente al di fuori degli abiti che hai addosso e della tua pace. 

Per farmi capire meglio mi porta sul piazzale più alto della città per respirare le luci che lasciano il passo alle stelle. Potrebbe essere Piazzale Michelangelo o Trinità dei Monti, non lo so, si vedono delle cupole e dei campanili. C'è un venditore di palloncini, delle famiglie che parlano, dei ragazzi che si baciano. Lui mi indica un'orchestra di contralti e violini. Dice che li conosce, sono suoi amici. Non mi meraviglia, siccome questo è il suo Racconto e le figure al suo interno non sono che parte della sua immaginazione. Ci avviciniamo.
I musicisti fanno segno di unirci a loro. Alzo le spalle, non so suonare. Così l'amico scrittore prende una maracas dal bagaglio della loro macchina, mi dice 'tieni' , mentre lui si siede al pianoforte. Cerco in tutti i modi di divincolarmi, però non è difficile tenere il tempo, il suo Tempo, abbracciati come siamo dalla calura di luglio, illuminati dai bagliori di sconosciute costellazioni, presenti e vagamente assenti in questa rumorosa sgangherata orchestra spettacolare.

1 commento:

Tomaso ha detto...

Cara Cristina, bello il tuo racconto fantasioso, così termini bene la settimana!!!
Ciao e buon fine settimana con un abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso