30/09/15

Seicento parole en passant sul Tempo

di Cristina Taliento


(Joy Williams)

 Perchè il Tempo, che cos'è. Il Tempo e la tenacia. Una volta conoscevo un signore di nome Osvaldo che aveva scritto un libro intitolato Il Tempo e La Tenacia. Non l'ho mai letto, ma credo parlasse della fatica di vivere o cose così. Lui non faceva altro che lamentarsi, anche se era un lamento piacevole, abbastanza ventilato. Quel genere di lamenti che iniziano dopo un lungo silenzio e finiscono con un'alzata di spalle e un anello di fumo. Io non ho mai capito come facesse quell'Osv a fare quei cerchi con la bocca. Aveva anche i baffi,come faceva? Ad ogni modo, è bello quando qualcuno si lamenta di cose che non si possono risolvere perchè se qualcuno si scalda per faccende come la tassa sulla seconda casa, anche se tu non ci pensi nemmeno all'idea di possedere un bene immobile, finisce che dopo un po', vuoi o non vuoi, ti senti un po' indignato anche tu e inizi a parlare per slogan che iniziano più o meno cosi: "Giù le mani da x, giù le mani da y". 
Invece -e volevo dire appunto questo- invece, quando un tipo come Osv viene nel giardino di tua nonna per salutarla e bere un bicchiere di succo all'ananas e si lamenta, a colpi di bronchite cronica, del Tempo e delle Cose Perdute, io mi rilasso. Mi prendo dal cassetto della cucina una di queste cannucce colorate che non so perchè in questa casa non mancano mai, così il drink mi dura per tutto il suo monologo. E ci sguazzo ad ascoltare questi punti di vista malinconici. Il che forse potrebbe dipingermi come una collezionista di drammatiche prese di coscienza. Mah, non lo so. Non è che mi diverta terribilmente, ma mi fa sentire più a mio agio, più all'interno della Vita. Sapete com'è ultimamente... con tutta questa gente che scappa dalla guerra per la vita e tutta quell'altra gente che risponde con le Banche. E' come se ci fosse un'incomprensione di fondo. Tra Vita e Soldi, mi pare. Un'incomprensione talmente grossa da autorizzare qualsiasi rispettoso alunno ad alzare il dito e chiedere: "Mi scusi signora maestra, ma di cosa cazzo stiamo parlando?". Cioè, sono due cose troppe diverse. La paura di morire non è razionale, la società occidentale si.

L'uomo messo di fronte all'orologio mi fa diventare seria e non smetterei mai di guardarlo, nè di scriverne. L'uomo messo di fronte al Tempo non è meschino, bugiardo, è più umano perchè contro il Tempo non c'è slogan che tenga. "Giù le mani dal mio corpo, da questi assi, da questa casa, vattene via o' salsedine maledetta che sbiadisti la bandiera della mia santa nazione". 
Quando il signor Osv inizia ad affrontare l'argomento si vede sempre che è un po' teso, sembra che provi quasi rancore contro un avversario solenne e sconosciuto; poi, come al solito, si pacifica, anche la sua tosse pare che si plachi, inizia a incantarsi con lo sguardo, a fissare la punta del pino. Non ci può fare niente nessuno contro il Tempo: si tolga la mascherina il chirurgo, chiuda l'agenda il banchiere, spenga il fornello il cuoco, si guardino i palmi i governanti. E io annuisco e dico "eh già" dall'alto della mia saccenza, dato che mi dispiace non dire proprio niente. 
Trattiene il riso e dice con l'aria incasinata: "Che palle però questo tempo che passa".
Poi, suona la Mirella con la storia che la sua torta di mele non è più la stessa da quando sua figlia compra il lievito biologico.
"Il lievito biologico" ripete Osv ai suoi baffi.
"Certo, Osvaldo. Il lievito biologico fa parte degli ingredienti naturali altamente selezionati senza fosfati".
Il vecchio allora prende il bastone e il cappello e fa per andarsene; poi dice a bassa voce perchè possa sentirlo solo io: "E giù a parlare di stronzate". Faccio un cenno con la mano. L'istinto mi dice, meglio così. Molto meglio così.

09/08/15

Mettersi il fonendo

di Cristina Taliento




Certe volte, quando mi vengono i pensieri,  vorrei proprio mettermi il fonendo, prenderlo al volo dalla scrivania, dove lo lascio senza custodia, senza niente, tra la polvere e i post-it mangiucchiati e vorrei mettermelo non al collo come i medici quelli esperti, neanche in tasca, ma proprio nelle orecchie anche se davanti non c'è nessun addome, nessun torace paziente, impaziente, solo il mio di torace, solo io. Tanto sono uno studente e mettermi il fonendo è un po' come con gli auricolari dell' emp3, un vezzo. Se il soffio non è sei sesti ancora non lo sento. E vorrei uscire, lasciare tutto, anche le chiavi di casa e infatti me ne filerei senza chiudere nemmeno la porta, per la prima volta non me ne importerebbe un accidente. "Ma come Caterina, tu che dai peso a tutto" potrei sentire la voce della prozia. Eh zia, per stavolta sticazzi proprio. Scenderei le scale saltellando con la membrana del fonendo bella puntata a sinistra e bum bum bum andare via. Attraversare la città, tutta questa pianura padana che nei momenti peggiori mi sembra proprio un parco giochi scialbo e arrivare al mare, alla terra viva e brulla, ovvero da dove vengo io, dalle terre selvagge. E poi muovere verso i Balcani, da lì est, vai a est, guarda a est e cammina bum bum cammina eccoti di fronte la Penisola dei Ciukci. Da qui è facile: stretto di Bering e Alaska. E chi si è visto si è visto. Aria.



24/07/15

Mi ricordo della tana certe volte

di Cristina Taliento






Mi ricordo della tana certe volte, quando ho tempo o quando non ne ho. Mi ricordo cioè di quando scrivevo, di quando non avrei mai pensato di mettere un "cioè" così senza virgole nè niente, abbandonato nella frase, nel vento dei ricordi, come il naso di un pagliaccio sulla riva del mare. Io ho avuto un'adolescenza di storie inventate, ma erano per lo più personaggi difficili che toglievano l'aria al contesto e non rimanevano che loro al centro di loro stessi e le mie storie erano proprio come delle bamboline dentro bamboline dentro bamboline. Un'avventura la puoi creare anche con un due polmoni, un paio di occhiali su un naso e un cuore che batte. Non erano poi questo granchè, le mie storie. Però mi ricordo che quando scrivevo ero felice, in un posto sicuro dotato di accarezzatori automatici e asciugatori di lacrime e riscaldatori di brividi e baciatori di spalle. Mi ricordo di me e di tutti quei gatti, di tutti quei sabati nella tana. Che poi, alla fine, la chiamo tana perchè mi sentivo al sicuro, ma la scrittura è sempre stata e sarà il posto più all'aperto del mondo, più del deserto, più delle cascate, più del cielo, dove tutto è così naturalmente ai quattro venti. 
"Ai quattro venti...?" . Torno a studiare va'. 

09/05/15

Quando sta per piovere

di Cristina Taliento



Quando sta per piovere, quando proprio sta per iniziare a piovere, la camomilla profuma di più. E le persone un po' si spaventano, per esempio cambiano programmi oppure si guardano intorno e guardano il cielo e vedono cose che prima non avevano notato. Tipo: una rondine che passa sopra una nube che passa sopra un raggio di sole che passa sopra il cielo. Anche se è primavera poi, c'è sempre qualche foglia che cade o un ciuffo d'erba che trema. Io di solito, se sono in biblioteca, me ne vado a casa. Slego la mia mountain bike colorata di fine anni 90' e penso a cinquecento parole da scrivere su quello che accade al cuore quando sta per iniziare a piovere. Ma mi viene in mente soltanto un mondo dove le persone se ne escono con questa frase. "Sta per iniziare a piovere!". Svegliati, Peppina! Un mondo dove, mettiamo, ci sono due ragazzi fermi su questo marciapiede che sorpasso pedalando. E lei dice: "Ti prego dimmi se ha senso restare". E lui dice: "Sta per iniziare a piovere". Oppure un'altra immagine, dove la signora del letto 22, donde il nome La 22, si toglie la mascherina dell'ossigeno, poi si sfila ad uno ad uno gli accessi venosi e dice: "Bene signori, a me queste chiacchiere non interessano. Mi sono rotta completamente le balle di tutta questa situazione. E' arrivato il momento di tornare a casa ed è bene che mi affretti. Sapete com'è, sta per iniziare a piovere". Un mondo così, un po' ribaltato, un po' normale. Il fatto è che quando sta per piovere, i gatti non li vedi più e in giro non si sentono nemmeno tante risate. C'è silenzio dappertutto. E se qualcuno grida frasi come "oh passami le chiavi" è solo per aprire la macchina, sgommare e lasciare più silenzio. Mah, a me è parso così!

12/04/15

I giri intorno al campo

di Cristina Taliento




Giò Di Bacco me la sono inventata, ma questo non importa. L'importante è dire che mentre l'alba paffuta muove i fianchi tra i palazzi, lei fa un paio di saltelli sul posto e coi calzini di spugna e i pantaloncini rossi si dice che è ora di iniziare la corsetta. E questo sempre, sole e pioggia, sciopero, febbre, problemi di cuore, noia, ipopotassemia, crampi muscolari. Sempre. Così se, per esempio, quel giorno la città è bloccata dal traffico, tra gli schiamazzi e i clacson famelici, lei pedala in silenzio fino al campo di atletica leggera, poi lega la bici, si cambia le scarpe, annoda i lacci due volte, raddrizza la schiena e lavora sodo. A ventidue anni, lavora sodo. E non è che c'è la guerra o il colera, perchè beh, è il ventunesimo secolo, è l'europa, potrebbe anche prendersela con più calma. Però vuole vincere, lei vuole andare lontano, oppure lo fa soltanto perchè il suo posto è là, a far qualcosa di duro e faticoso, mentre le tv sbrodolano parole sui cervelli della gente, mentre tutti criticano e parlano, parlano, parlano. Si asciuga il sudore in silenzio. E c'è sempre questo silenzio, forte, assordante per tutto il campo, soprattutto dalle tre alle quattro del pomeriggio quando il sole è come se volesse superarla in corsa per gridarle di sedersi un po', magari all'ombra, magari con una di quelle bottigliette fresche di tè al limone. Ma lei sorride tutte le volte che le dicono di rallentare, di stare attenta e non è per maleducazione o per senso di superiorità; senza smettere di correre, con la testa bassa, dice: "non vado poi a questa grande velocità, saranno manco dieci chilometri orari". Il suo cuore batte sempre con lo stesso ritmo da mesi. Ha imparato a non agitarsi più di tanto se in campo entra un cane. Prima, ne aveva paura. Poi, ha cominciato a pensare che finchè fa il suo lavoro, finchè è concentrata sul quarantacinquesimo giro di campo, lei non può essere importunata, morsa, illusa, ferita. Quindi, corre. Ancora corre. E torna a casa, quando è troppo stanca per pensare a tutto quello che sarebbe potuto accadere se, invece di girare in tondo, avesse tirato dritto fino al porto, e poi dal porto alla vita, e dalla vita alle stelle. Così, accende la radio e, di solito, alla terza canzone che passano lei sta già dormendo.
Giulia dice che è una fase. Che la supererà.

26/03/15

Caramelle alla fragola

di Cristina Taliento



Ho camminato per cinque chilometri ed erano pochi. Sette, quattordici, ventuno come i miei anni, come il solstizio e l'aquila che s'abbassa. E per tutto il sentiero c'erano solo vecchi con le mani intrecciate dietro la schiena. "Buonasera". "Buonasera". Poi, ognuno per la sua strada. 
Ho ballato da sola, all'ululare dei lupi. Le luci fosforescenti nei miei occhi abbagliati, tra gli alberi, lungo la montagna. E mi sono seduta un milione di volte, cercando di trovare una soluzione. Intanto il tempo passava e le cose cambiavano. Tempeste a ovest, venti a infiniti chilometri orari, esplosioni stellari, attentati.
Poi mi sono fermata e quella volta era una spiaggia dell'infanzia: gabbiani, odore di vongole e salsedine... Avevo con me un pacchetto di caramelle alla fragola. I capelli lunghi di tre anni volavano ovunque. Ho respirato e masticando lentamente con lo sguardo incantato sul mare, mi sono detta che tutto passa, anche il dolore. 

10/03/15

Quei matti ballano ancora

di Cristina Taliento

Ma io mi chiedevo proprio che cacchio avessero da ballare ancora, quei matti lì, quelli scemi. Perché non se ne stavo quieti a piangere dato che il Pil era basso, l'amore faceva schifo, l'aria sapeva di zolfo e i malati di tumore aumentavano anno per anno? "Andatevene a casa, tutti a casa, giullari!" volevo gridare certe volte. E magari proprio così no, ma un "eccheddiavolo" mi scappava. Era solo che non capivo. Voglio dire, cantavano ancora. Conoscevo le loro storie, le respiravo dai loro gesti e, grazie a  tutta quella faccenda dell'empatia, sapevo che avevano delle ottime, vincenti ragioni per essere tristi. O meglio, stravolti. Straziati. Tutti quanti: studenti, pensionati, pazienti, imprenditori, casalinghe, donne delle pulizie, autisti, professori, ministri, frati, modelle, dentisti, scrittori. "Invidiosa! Invidiosa!" canticchiava la mia coscienza. "Che se ne andassero al loro destino" mormoravo io. Le strade erano piene di cuori spezzati, cuori solitari, cuori due, tre volte infartuati e io, a dire il vero, un po' mi aspettavo una certa compagnia, una fratellanza silenziosa di gente che soffre, un cenno del capo da un passante che capiva, sapeva, poteva immaginare. Invece quando scendevo in strada, c'erano tutti quei matti che reagivano, neanche fossero stati tutti psicologi,  maniaci dell'andare avanti o fanatici del presente. Insomma, sentivo i loro cuori battere, sentivo le loro sofferenze, delusioni, malattie. Sentivo i loro lutti, gli addii, i loro cani sepolti, i loro pianti. I loro che erano i miei, che in fondo siamo tutti uguali. E però, tutta sta gente, la vedevo ballare ancora. Sara beveva ancora il suo caffè solubile nelle tazze da thè. Quelle mandrie di adolescenti all'uscita da scuola ridevano, alla faccia delle guerre quotidiane. Sally abbracciava ancora il suo pelouche, quello che le aveva regalato Marco due settimane prima di lasciarla piangendo. Lo spazzino fischiettava ancora. Il signore con il piede diabetico leggeva ancora i libri di Asimov sorridendo. Il ragazzino cinese distribuiva ancora i volantini del circo augurando agli automobilisti una buona giornata. "Checcacchio ridi se ti sfruttano, idiota!" pensavo io, ma poi mi vergognavo. Mi giravo e rigiravo tra le mani quel sacchetto di cellophane in cui era avvolto il mio cuore o i pezzetti rimasti o ciò che ero riuscita a ricucire. Guardavo loro, i loro sacchetti, le vite che vivevano ancora, i sogni che avevano ancora. "Bah" e non mi veniva altro da dire. 
Certe volte c'è solo da tirare su col naso e commuoversi per il coraggio del mondo, realizzare che tanto vale ballare. Male che vada, si vive. 

02/03/15

La scrittura

di Cristina Taliento

Un vecchio una volta mi ha detto ridendo che io ragazzina dovevo scrivere delle cose che conoscevo, dei nove in matematica, per esempio, del cielo rosa zucchero filato. Mentre io scrivevo dell'amore. "Ma, ma, hai idea, hai idea di cosa sia davvero? Pfff, no che non ce l'hai". Però io scrivevo lo stesso. E ora che c'è stato, e ora che è finito, mi sono consolata con le parole che avevo scritto quando ancora non potevo sapere quale senso davvero avessero. 

02/02/15

Metti che un giorno

di Cristina Taliento


Metti che io un giorno dovessi fermarmi per strada, così all'improvviso, e chiedermi un calmo devastante "e se invece", mentre le biciclette mi passano a fianco e i Queen mi continuano a cantare sul collo, negli auricolari caduti dalle orecchie della mia vita, tra i cappucci di felpe e i colletti di tutte le camicie celesti che ho messo.
Metti che tu un giorno di giugno, in cucina, ti dovessi accorgere che vuoi solo vincere. Vincere per vincere, prendere tutto, mangiare il dolce, soffiare forte, senza rancore, per il solo gusto di sbancare. E poi andartene, restando ancora lì, qui, dovunque, dappertutto, in nessun luogo, mentre le sigarette se le fuma il vento perché tu non hai tempo, non hai più tempo. Metti che un giorno, allo scattare del semaforo verde, tu decidessi di non attraversare per poi camminare come se nulla fosse successo in un' altra direzione nascondendo tra le tue spalle strette, in una gabbia toracica compressa, due etti e mezzo di cuore dannatamente pulsante, sporco marcio d'adrenalina. E finalmente respirare. Un respiro misurato, dentro e fuori, dentro e fuori. Chi te lo vieta? Me l'hai chiesto Lunedì. Quanto le ami le cose che fai? Sei sicura che ti piace davvero la birra? Ascolta un attimo. Lo sai bene quello che vuoi? Si si, okay, ti ascolto, ma tu, tu, metti che un giorno io dovessi decidere di lasciare andare i gabbiani nel cielo oppure mettere su Coltrane in questo lettore mp3 dove non si sente niente, ma fregarmene, cantare nel traffico parole inventate sul suono di questo blues, metti che un giorno tutte le nostre paure di essere i migliori dovessero abbandonarci, lasciandoci al freddo, nella prateria. Soli, con il mondo mormorante davanti i nostri corpi. E metti che io volessi all'improvviso sentire i mormorii del mondo, senza la paura che si siano accorti di me. Metti che io, a quel punto, dicessi un fermo "no, continua, voglio sapere"  pur temendo di ritrovarmi con le mie sensibilità curiosamente ferite. Guardare dritto negli occhi, rispondere senza esitare, baciare il lupo, volare nel fosso, centrare sempre il punto, bere caffè, non richiamare, sapere di essere, lavorare la creta. Sarei sempre io? Sticazzi? Si, penso anch'io. Ma tant'è. 

19/01/15

Yogurt

(luglio 2014)




Palazzi color crema e pistacchio
nella pioggia grigio lenta di luglio
nell'odore grigio chiaro del cielo
nel cucchiaio di yogurt sospeso a mezz'aria,
sospeso sul nucleo di Edinger & Westphal,
nei fogli sparsi per terra,
negli appunti appesi dovunque
per strada, ai fili elettrici,
per tutta la mia testa.
E c'è sempre qualcuno che
che
-chissà da quale mondo,
da quale finestra-
suona la chitarra.
Io m'immagino sempre
che sono ragazzi
con le loro Norvegie solitarie e
e scatole di chocopops.

(C. Taliento)