28/06/17

Sotto un tempo da lupi io mangio un gelato


di Cristina Taliento


Sotto un tempo da lupi io mangio un gelato
È il titolo di questo sonetto
E le rondini volano alte.
La pioggia d'estate mi fa venire voglia
Di scappare di casa
Anche se questa non è casa mia
E sarebbe strano, un controsenso

Dunque preparo lo zaino
E pedalo semplicemente
Come un tranquillo anziano normale
Che pedala normale
Ma in realtà sto facendo al contrario
Il solito percorso
Con l'animo di un bambino irriverente
E da questa prospettiva
Mi sembra tutto diverso,
Persino quel ponte, diverso.
Però è bello
E questo potrei anche scriverlo in prosa, anche se mi servirebbe il doppio del coraggio, perché nei versi ci sei e non ci sei, salti da un rigo all'altro lasciando nel dubbio che fossi veramente tu o soltanto un riflesso, un sentimento generico, d'altri. Pedaliamo ancora sotto questo cielo di capodoglio ferito -e questa è in assoluto la mia metafora migliore - noncuranti di noi stessi, oppure troppo attenti ai dettagli per accorgerci delle cose più semplici.
Semplice tipo questo parco che incontro, pieno di rametti spezzati dalla tempesta, con tre panchine e un'altalena.
La pioggia d'estate accarezza gli alberi
E un signore col cane mi fa:
"Ragazza, ieri vento a ventinove kilometri orari!".
Faccio un cenno d'assenso e dico:
"Mare forza quattro!".

Dicono che nello Stretto di Bering ci sia un vento talmente forte da uccidere in media un pescatore al giorno. Lo chiamano il "gelo nero". Per questo il lavoro del pescatore di granchi reali del Nord è il lavoro più pericoloso al mondo. Le onde saranno davvero altissime laggiù.


25/06/17

Sabato sera - Poesie metropolitane

di Cristina Taliento


Immagine correlata
(Moscow I, quartiere rosso, Wassily Kandinsky, 1916)



Sabato sera è un posto più che un momento,
dove cammini sull'erba
una sera d'estate,
ancora luce,
qualcuno suona la chitarra,
mentre il camion dei rifiuti passa e spassa
e i giovani bevono sui marciapiedi
di fronte al bar, seduti vicini,
seduti distanti,
si guardano, bevono,
chissà che avranno da preoccuparsi tanto.

Sabato sera d'estate
è comunque sempre uno dei giorni
prima dell'esame
e del futuro, uno dei giorni dopo
ottanta grammi di pasta col pomodoro
ripetitiva
e notti insonni
e zanzare, silenzi, fogli, matite,
andare, andare, andare.

Un sabato sera d'estate
alla fine dei fatti è solo un posto all'aperto,
quattro amici,
finalmente una birra,
dove i nostri Altrove sembrano
affievolirsi in una risata,
sbiadirsi nell'ascolto,
nel ricordo di una strana barzelletta
che accidenti, cos'è sta roba,
solo io non l'ho capita.

09/06/17

La minestra sull'oceano

divagazioni di Cristina Taliento


L'immagine può contenere: cielo e spazio all'aperto
(Robert H.Lafond, artista)


Conosco- in prima persona, sebbene non sia nient'altro che finzione letteraria- una barca molto grande, grande quanto la parola 'transatlantico' scritta con un corsivo espansivo pendente a destra. La sua occupazione è specialmente commerciale, ovvero quella di trasportare container pieni zeppi di pop corn dal Giappone, dove vengono prodotti, verso i porti del mondo. È fatta di ferraglia rossa a tratti arrugginita e per salire a bordo bisogna essere ammiragli, marinai, scaricatori o medici che sappiano usare il defibrillatore manuale. Ci sono anche cuochi, addetti alle pulizie e tecnici del suono. A pranzo tutti quanti mangiano piatti a base d'arancia per scongiurare il pericolo d'ammalarsi di scorbuto: anatra all'arancia la sera, risotto all'arancia a mezzogiorno e così via. Il medico di bordo ha più volte ribadito che non è affatto necessario. L'ammiraglio tutte le sante volte ha risposto : "Si, ma è sufficiente". E ha strizzato gli occhi per il sapore frizzante del mandarino che stava mangiando.

Così, mentre quest'enorme barca attraversa gli oceani, il personale inganna il tempo pensando che, almeno, tra breve, sarà ora di mangiare, anche solo agrumi grumosi, grotteschi. Non è una vita entusiasmante, ma invero abbastanza tranquilla.

Ma il medico di bordo, un giorno, decide che si è rotto completamente le scatole di tale ridicola situazione. Inizia a credere che ci sia un complotto del perché si insista a somministrare arance ai pasti. In ogni caso, decide di non voler perdere tempo a indagare, essendo troppo impegnato a prescrivere statine, distribuirle, rimproverare per il fatto che si siano dimenticati di prenderle. Sceglie quelle cinque persone che più le stanno simpatiche e dice: "Ore diciannove e venticinque, vecchie cucine sul pontile Sud, cucino io". Una di queste persone è il marinaio più vecchio, poi c'è il metereologo, l'infermiere, l'ispettore dell'igiene, il pulitore e un sesto, l'elettricista.
Che bella compagnia.

Il menu è semplice: minestra fumante. Gli altri non hanno nulla da obiettare perché c'è anche della birra e nemmeno l'ombra di arance. Un' enorme vetrata sull'oceano riempie gli occhi di blu e luce a mezzogiorno, di tramonto viola a cena. Seduti intorno a un tavolo, dietro il fumo dei loro rispettivi piatti, quei sette lavoratori si sentono finalmente a casa. In effetti, così calmi non lo erano stati mai. Pasto dopo pasto diventano amici, giocano a carte prima di ritornare alle loro mansioni, oppure discutono di guerre o restano in silenzio, mentre fumano, pensando a niente.
Non è un club esclusivo e nemmeno segreto, siccome l'ammiraglio è democratico nel credere che "ognuno è libero di fare quel cazzo che gli pare, per carità di Dio, saranno le vostre gengive a sanguinare, stolti, non le mie".
Dunque, se qualcuno, ogni tanto, vuole sedersi al tavolo non deve che avvisare, così da decidere i grammi degli ingredienti, sebbene questi vengano valutati, come di consueto, a occhio.
Il medico di bordo si mette il grembiule e nel giro di mezz'ora serve i piatti, toglie il grembiule e dice: "buon appetito ragazzi". Perché quest'abitudine non l'ha persa.
Di solito, il pulitore sparecchia e il metereologo suona la chitarra sussurrando canzoni nel suo dialetto. Il vecchio marinaio beve l'ultimo sorso di vino, prima di alzarsi e ringraziare i presenti per la minestra e tutto il resto, già.
 "Non c'è di che" dice il medico di bordo da sopra gli occhiali tartarugati.

E la barca si muove, liscia, tra rumori di forchette, bicchieri che vengono lavati, gridi di rondini e marinai. La barca si muove come un gatto persiano su un tappeto azzurro, fino a che non giunge nel porto, magari a New York, e allora lì tutti quanti non vedono l'ora di assaggiare una torta al cioccolato e fragole, tra le luci scintillanti della città irrequieta,  nell'attesa che si ritorni a bordo, lontano dal molo, verso posti che non saranno mai tanto casa quanto una cucina sull'oceano in cui una minestra fuma nel buio.