19/10/16

Il ragazzo che voleva impiantare le branchie ai gatti

di Cristina Taliento


Il ragazzo che voleva impiantare le branchie ai gatti si era spesso vergognato della sua intelligenza. E questo lo rendeva stupido abbastanza da far sì che, in fin dei conti, potesse rientrare a pieno titolo nella Media.
Ed entrare nella media era una lotta quotidiana che gli dava una certa soddisfazione.
Il ragazzo che voleva impiantare le branchie ai gatti chissà per quale strano meccanismo, non voleva essere altro che il ragazzo dell'ultima fila, taciturno, pugno premuto sul mento. Non ambiva, tuttavia, ad eccellere nella solitaria parte dell'individio ferito e allora, quando gli altri lo guardavano, diceva qualcosa di vuoto, di ironico, senza senso.
Il ragazzo che voleva impiantare le branchie ai gatti, in realtà, voleva fare il chirurgo del collo o qualcosa di molto simile a quelle fantastiche diavolerie, ma credeva francamente di non meritare tanto, né di essere capace. Così raccontava in giro che due cose, anzi tre, lo affascinavano più di qualunque altra cosa: le branchie, il trapianto, i gatti.
"Che ragazzo giudizioso" diceva suo nonno masticando noccioline.
"Un visionario" commentava suo padre con sarcasmo.
Il ragazzo, tuttavia, in quel clima di mancata approvazione mangiava il dessert con più gusto. Non era un ribelle. Era un codardo. Non voleva trasgredire. Aveva paura delle sue capacità, di quella sua memoria a tratti troppo affilata, delle sue non volute abilità, di quella voglia di conoscere e imparare, quasi come un'ossessione, come se il Tempo non fosse abbastanza. Aveva paura del suo sguardo che mutava quando gli insegnavano qualcosa, della gioia che traeva nell'osservare le minuscole parti dell'infinito. Si svalutava, spaventato da quel piccolo mostriciattolo famelico che gli chiedeva Tutto. Il ragazzo si guardava a lungo nello specchio e, certe volte, vi intravedeva il futuro. Ciò lo faceva fuggire da sé.
"Non avere paura ad essere chi sei" gli dissi. A me piacevano i gatti, ma anche le frasi d'effetto.
Disse: "so quello che valgo".
Dissi: "va beh". E scartai una caramella. Era una caramella gigante, così mi uscì un: "non avee pauaa  di essee il miglioe".
Menomale che non capì.

3 commenti:

Zio Scriba ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Il Ballo dei Flamenchi ha detto...

Grazie signor nicola scrittore!! Tu sei un maestro, invece! Ho letto il tuo libro, complimenti

Zio Scriba ha detto...

Danke! :-))