23/06/13

Avventure di un Felicitiere - La memoria

di Cristina Taliento

(Mad dogs, Jack Vettriano, oil on canvas, Private Collection)


Di quando il Felicitiere va a pensare sulla spiaggia e incontra questo ragazzo lupo un po’ paranoico con una cicatrice sotto l’occhio destro e  intanto, i gabbiani volano sulle barche e nell’aria si sente “Don’t worry, be happy” di Bob Marley, anche se di questo la narratrice non fa particolare menzione.

***



All’alba era possibile incontrare il Felicitiere. Al chiosco dei gelati al pistacchio, oppure sugli scogli più bassi. Tuttavia, la sua figura apparteneva a quelle immagini che, a volerle ricordare, vengono in mente solo viste da lontano. Lei aveva in sé la lontananza di una fotografia; si poteva guardarla a lungo, ragionando con impegno sui suoi contorni, ma la visione rimaneva legata alla prospettiva, alcuni particolari, nascosti, segreti per sempre. Aveva la grazia delle ultime onde che, pur avendo attraversato l’oceano intero, arrivano calme sulla spiaggia e lasciano intendere che se non fosse per la sabbia potrebbero continuare con la stessa ferma intensità per almeno altri migliaia di chilometri. 

L’ospedale sorgeva, insieme al plenilunio, nel celeste chiaro di una giornata ancora giovane e sorgeva bene, sul mare, come un castello e lei si disse che era proprio bello, così bianco, così eroico e solo davanti a tanto ossigeno. 
Salì sulla duna più alta per il gusto di mettere i piedi nudi sul mondo, aprì la braccia, respirò per vedere meglio. Il pastore tedesco la guardò dal basso con l'aurora alle spalle, mentre lei l'aurora ce l'aveva negli occhi, verdi smeraldo e ora verdi d'arancio. "Jack!" chiamò. Il cane abbaiò in risposta. Ma il Felicitiere non disse altro. Si mise le mani sui fianchi e stette a guardare ancora un po' il panorama con il bastoncino di liquirizia spezzato tra i denti; spezzato, nascosto per metà come d'altronde anche il suo sorriso. 
L'estate... in una parola avrebbe detto, odore di erba bruciata. Scostò il polsino della divisa verde dall'orologio. Le sette e mezzo. Il suo turno iniziava alle otto. 

Raggiunse lo scoglio dove aveva appoggiato le Converse nere. Allargò i lacci delle scarpe con un agile movimento delle dita e poi mentre tirava la tela lungo la caviglia, notò, al di là delle barche verniciate di rosso, un ragazzo. Il pastore tedesco abbaiò una volta sola. Il Felicitiere gli accarezzò piano il pelo dorato.
C'erano dei gabbiani che volavano, lì dove si incontravano i due mari, l'Adriatico e lo Ionio, i leggendari giganti di un impero antico.
Il ragazzo le ricordava lo Ionio. Era giovane perché nato da poco, perché i suoi muscoli non potevano aver visto che una ventina di inverni e altrettante primavere, ma, sotto l’occhio destro cresceva una cicatrice, una radice profonda che si riversava nel celeste ghiacciato delle iridi. I capelli scuri seguivano, spettinati, i contorni delle orecchie, arricciandosi appena sulla nuca e assomigliavano alla dura scogliera che abbraccia la più pura bellezza di lineamenti di alcune di quelle pianure del Sud. 
La tramontana camminava insieme al Felicitiere e al pastore tedesco e spettinava le loro linee come in un quadro impressionista. Il Felicitiere si sfilò un elastico dal polso, si legò indietro i capelli catturando tutto il vento che vi si era infilato dentro.
"Tramontana! Vento di tramontana!" gridò da lontano al ragazzo lupo che sedeva sulle ginocchia con il mento sul petto. La sua tristezza evaporava visibile tutt'intorno mentre dispersi nell'aria e nell'acqua c'erano decine e decine di fogli, pagine strappate, taccuini interi ora completamente bagnati dalle onde. Alcuni pezzi di carta erano volati fino all'inizio delle dune, altri sembravano gabbiani per quanto erano stati spinti in alto dalle correnti. Piano, il ragazzo alzò la testa  e guardò nella sua direzione lasciando che il suo sguardo supplicasse, al posto delle parole, per un ritorno al silenzio e alla solitudine.
"Dicono che il vento cambi giovedì!- continuò invece il Felicitiere- Saranno contenti i ragazzi del Kite Surf".
E notando che quello non rispondeva affatto, disse indicando i fogli nel mare :
"Sono le pagine di un libro che hai scritto?".
"No"
"Poesie dell'adolescenza?"
Scosse la testa.
"Lettere d'amore?"
"Io non ho mai amato" disse il ragazzo di colpo e a quella sua stessa frase si emozionò. Una lacrima si districò dalle ciglia e cadde. Il Felicitiere la vide brillare controluce prima che raggiungesse la canottiera da basket del ragazzo.
"Io non ho mai amato perchè tutte le volte che mi sono innamorato, poi me ne sono andato perchè avevo un sogno, avevo una speranza e ho vagato a lungo, di notte, di giorno. Ho vagato pur stando fermo. Seduto alla scrivania. Un ragazzino di sette anni con la media del dieci e il costante, pulsante, sentore di essere un somaro. Un ragazzino di quattordici anni con un taccuino pieno di domande, con un armadio di libri per cercare le risposte. Un ragazzo di vent'anni che ha letto un milioni di libri. Sempre io. Lavora dura e fai il bravo. E se fosse bastato un patto col diavolo per avere la conoscenza..." un sorriso amaro tagliò di sbieco la sua guancia bianca.
"Hai tutta la vita davanti per leggere un altro milione di libri" disse il Felicitiere con le mani in tasca.
"Ho tutta la vita davanti per assistere allo straziante balletto della sciocca memoria e delle raffiche di vento. Mesi di studio con il sudore dietro la nuca, anni di tutto questo leggere, anni per costruire palazzi di conoscenze e poi basta un secondo di terremoto per far sbiadire tutto, oppure basta il tempo che si deposita sulle formule imparate come la neve in inverno e nel momento in cui esci fuori a cercarle, ti accorgi di quanto sia stupido anche solo provarci. Svanirà ogni cosa!"
"Alcune cose restano"
"Oh si- rispose digrignando i denti- e la cosa che non sopporto di più è che resti nella mia mente il ricordo dello stupido odore del mazzo di carte da gioco di quand'ero bambino oppure il suono del carillon, cose così inutili, mio Dio... e che, al contrario, non ricordi più le inserzioni dei muscoli. Conoscevo tutti i legamenti, le ossa del carpo, sapevo distinguere ad occhi chiusi il numero esatto della vertebra che mi veniva presentata. Invece ora non so nulla, ho dimenticato tutto. Era la mia nuova, sudata ricchezza e se l’è presa il mare e sono ritornato povero, con i miei quattro avanzi di ricordi… e potrei studiare ancora e ancora, ma il tempo è limitato, la mia memoria troppo breve, io potrei morire, le mie mani potrebbero tremare per sempre".
E parlava così, agitando le mani tra i fogli e questi volavano nel vento, alcuni finivano nell’acqua e si scioglievano. Si alzò, tirò un calcio al borsone pieno di carte. Il pastore tedesco, destato da quel gesto di vitale, repentina, violenza, si mise ad abbaiare, ma il Felicitiere mormorò qualche buono per farlo smettere.

"Mi piace ricordare le cose- continuava a dire il ragazzo lupo- mi piace che le cose restino nella mente mentre vado avanti per avere la conferma che fossi davvero io a viverle, le cose, e non le cose a vivere me. E poi finisce che leggo il mio diario di sette anni fa e non mi riconosco per niente o solo in una dannatissima parte che, comunque, mai renderà giustizia al passato. Ero un altro ragazzino e avevo tredici anni, mentre adesso chi diavolo sono e avevo scritto finanche che sarei andato al cinema con Enrico e chi cazzo è Enrico. Io non me lo ricordo! E poi leggo la lista dei libri che ho letto e di alcuni non mi è rimasto che il nome dell'autore. Io ho vent'anni, ma non vivo di attimi, vivo di testa, di quello che imparo, di domande a cui sono riuscito a rispondere e preferirei morire invece di ritrovarmi un giorno a non ricordare niente, a non ricordare più il greco. Il latino, cazzo, il latino! Stai pensando che sto peccando, che sto peccando di saccenza. La mia pena di contrappasso sarà il morbo di Alzheimer."

Il Felicitiere si mise a ridere pur notando la sua disperazione, ma la sua risata ricordava vagamente il concetto della relatività dell'esistenza, di ciò che riusciamo ad afferrare, di ciò che non sarà mai davvero nostro. Il ragazzo lupo riuscì a intuirlo e anche lui rilassò le spalle, gettando uno sguardo alle decine di fogli che ora dovevano essere centinaia. Coriandoli. Uccelli di carta. 

Il Felicitiere si rigirò le mani nel camice non sapendo che dire. Il suo turno era iniziato da dieci minuti. Si girò per andarsene. Il pastore tedesco la seguì al suo fianco. Ma poi tornò indietro per dire che:
“Se in una notte di semiluna, in uno scafo un trapezio incontra un trapezoide… può darsi che non sia capitato come caso isolato, ma che anche un piramidale abbia incontrato un pisiforme”. 

“Scafoide, semilunare, trapezio, trapezoide, capitato, piramidale e piriforme” diceva piano sorridendo il wolf boy. “Manca l’uncinato”, disse poi. E lo disse come quei bambini che dicono la prima frase da calmi dopo aver pianto per intere ore.

Ah, fece il Felicitiere togliendosi la liquirizia dalla bocca. “Allora sarà quello che ti ricorderai meglio”.

E a quel punto il ragazzo si sarebbe innamorato di lei, anche se per poco, magari per tredici giorni soltanto, ma non era questo il bello. Il bello era che le sue lacrime erano asciutte e che per tutta la vita avrebbe ricordato le ossa del carpo e le avrebbe ricordate con una piccola stretta al cuore pensando a quella figura dai contorni sbiaditi e dai capelli castani di cui non avrebbe mai conosciuto il nome.

Gli aerei passavano sopra le loro teste. Erano le frecce tricolori  che si esercitavano per la sfilata del giorno dopo, domenica. 

4 commenti:

Tomaso ha detto...

Cara Cristina, non sempre trovo il tempo di leggere i tuoi lunghi racconti. Noto che con il tempo incominciano a piacermi davvero!
Grazie cara amica,buona serata.
Tomaso

Il Ballo dei Flamenchi ha detto...

Grazie a lei, non credo comunque che questi racconti meritino il tempo di qualcuno! Arrivederci!

amanda ha detto...

Per la cronaca: Bobby Mc Ferrin non Bob Marley, vocalist eccezionale, cantante jazz a cappella prova ad ascoltare qualcosa di suo è fantastico
Ora leggo il resto

amanda ha detto...

vorrei averlo conosciuto anche io un ragazzo con gli occhi verde smeraldo all'incrocio dei due mari, in un posto del mondo che amo come una promessa di vita più lenta e dolce e vera per tenere a memoria le ossa della mano ed i vuoti dell'anima