16/03/13

Il Grande Boom

di Cristina Taliento












(Number 32, Jackson Pollock, 1950, enamel)


Smise. 
Una mattina: smise. 
Perchè hai smesso? Perchè sì, non t'impicciare! Perchè sono i fattacci miei, hai capito? E tu non puoi dirmi niente, va bene? Niente! 
Smise come una nevicata, come, di colpo, la pioggia, come la cicala. E craaaa, craaaa, craaa. Basta, non ne volle sapere più. Partì! 
Ma che cosa hai smesso? Ti sei dimesso, fesso, che hai fatto? Ammettilo! 
Eh... per favore, vecchia, lasciami stare! 
Smise sotto lo sguardo del suo specchio, sotto il riflesso del suo sopracciglio.  Respirò e smise, così come aveva cominciato. E quel giorno non c'era nemmeno una nuvola in cielo. Io, poi... nemmeno io c'ero. Non c'era nessuno oltre a quella voce fuori campo. Chi lo sapeva da dove venisse. Forse era la sua coscienza o forse Omero oppure...Dio?  
"Oh- arrossì il personaggio del secondo piano- se n'è andato! Il matto Genda se n'è andato!"
"Ma come!-faceva il Fantasma tutto agitato- Che è successo?"
"Dice che ha smesso"
"Ha smesso?"
"Così dice"
"Ha smesso di fare che cosa, poi?"
"Mah! E chi lo sa? Ha smesso!".
E già l'Adolescente, quel commediante, si portava le mani alla bocca e respirava forte, impaurito, stupito, provava un senso di oppressione sullo stomaco. Livia usciva dalla stanza con una salopette rosa fucsia, i capelli biondi, un succo di frutta alla pesca in mano. 
"Il matto Genda ha tagliato la corda" fece l'Adolescente da gran pettegolo qual era. 
Livia rise appena. Disse: "Era ora. Lui qui, tra noi, non c'entrava niente".

Mi chiamarono per dirmelo. Io stavo studiando l'Evoluzione. Che cavolo c'entravo io con il matto Genda e il suo carattere schifo. 
"Andatevene. Sto studiando" dissi arrabbiata, sempre più spettinata, la matita spezzata tra i denti, la gomma da masticare ridotta a un filo appiccicoso. "Andatevene, maledette seccature!"
"Noi... veramente... è successo che..."
"Ebbasta! Non avete rispetto! Via! Via!" 
"Perdonate...si tratta del... matto Genda"
"Che vuole?"
"Niente... se n'è andato"
"Eh vabbè! Che me ne importa!"
"Il punto è proprio questo, secondo noi... Se n'è andato perchè voleva un narratore a cui, invece, importasse. Forse la vostra incostanza... mah, forse ha capito che era meglio migrare"
"Egocentrico pagliaccio! Vecchio brontolone..."
"Voleva più spazio... beh, a dire il vero, lo vogliamo tutti noi".
Li guardai. Al buio della stanza, avevano formato un gruppetto di una dozzina di personaggi. Ma che ingrati... ma che traditori... Quelli delle ultime file si alzavano sulle punte dei piedi per vedere la mia espressione. 
"Ecchè gran cazzo, proprio, dico io!" gridai, sbattendo i fogli sulla scrivania. I personaggi indietreggiarono. Il Fantasma ebbe una leggere interferenza d'immagine. Livia fece quel rumore con la cannuccia, quando il succo si è finito e non aspira più un bel niente. Flacco Squidegno, quello de La Geometria del Gatto, si tolse il sigaro dalla bocca e mi fissò pensoso.
"Non mi guardi così, signor matematico! Io ho tutto il diritto di mandare la barca a naufragare perchè questa, belli miei, è la MIA barca, il MIO mare e se voglio inseguire Moby Dick, la inseguo e se non la voglio inseguire, non la inseguo. E lo stesso vale per l'ispirazione, per l'esercizio di stile e per tutti i maledetti incipit del mondo. Vi è sufficientemente chiaro questo concetto?" continuai sullo stesso tono imitando la mia vecchia professoressa di latino. Anzi, mi alzai in piedi e inchiodai il pugno sulla scrivania. 
"Esigo inoltre che non veniate più a scassarmi la pazienza e la porta perchè, vi avviso, la prossima volta me ne vado anch'io e non avrete le vostre storie nemmeno a strisciare come serpenti. In più, vi consiglio, di chiedere asilo presso i taccuini di un altro scribacchino se ritenete che io non sia in grado di soddisfare le vostre velleità. Se vi vanagloriate di essere dei personaggi validi, brillanti e scoppiettanti, uscite da questa penna quasi scarica e infilatevi in quella di qualche bella casa editrice, con tanto di camino e gadget per i clienti. Qui, per ora, non si pensa ad altro che a Charles!"
"Bene...-abbaiò il Pastore Tedesco- e per il matto Genda?"
"Che se ne vada affanculo"
E poi uscirono uno per uno e volevo smettere di scrivere anch'io, ma smettere come si faceva... era difficile. Non si poteva. Si poteva? La mano cercava la penna e la testa, le idee. Ma le idee erano polline che ora ti sfiorava il naso, ora volava lontano. Il cuore mi batteva forte, ma più inventavo, più mi calmavo e di mettere il punto alla frase proprio non c'era verso

1 commento:

A. ha detto...

Che meraviglia, che sono quei personaggi. I miei non si fanno vedere molto, per (s)fortuna. Hanno l'abitudine di passare per un po' di tempo ma poi si scocciano e partono risoluti verso nuovi lidi. Ogni tanto telefonano o mi scrivono, dicono "siamo ancora qua, incompleti e non vivi e tu sei un'ingrata". A me verrebbe tanta voglia di potergli urlare cose come "questa mente non è un albergo!" e invece poi me li tengo stretti al cuore e probabilmente non ne escono fuori del tutto perché sono una mamma protettiva quanto incapace.
Ma il punto alla frase proprio non c'è mai verso di metterlo, esatto.