20/01/13

Signorina Bella Penna

di Cristina Taliento


(Joan of Arc, Sir John Everett Millais, 1867, oil on canvas, Private Collection)

Nata nel 1975, figlia di Gianni e Vittoria Penna, si chiamava Isabella o Arabella Penna, non ricordo bene. Comunque, abbreviato: Bella Penna. E, in effetti, sapeva scrivere, la ragazza. Alle elementari i bambini la prendevano in giro canticchiando: "Mi passi una penna, Penna? Ah ah ah". Cose così. Ma alle medie qualcuno si accorse in un lampo di genio che poteva sembrare buffo quel nome, Isabella Penna, Penna Bella... Bella Penna! Una volta, non vi dico, la accusarono di aver copiato ad un compito d'italiano. "Bella Penna!- urlò la professoressa sbattendo sotto il suo naso un foglio con sopra un dieci infuocato seguito da un punto interrogativo- Questa non è farina del tuo sacco. Fin troppo evidente! Una ragazzina della tua età non scrive così, sei un'imbrogliona!". Era un tema di seconda media sull'animale domestico. Sua madre era allergica al pelo del gatto, così s'inventò tutto. Parlò di un certo siamese chiamato Dante, una specie di gatto pirata con un orecchio tagliato e l'indole poetica. In realtà il gatto di suo zio, Lucio, aveva un'infezione acuta (da stafilococchi, forse) che gli aveva mangiato le cartilagini, ma lei scrisse che si era trattato di un'amputazione volontaria per ostentare il potere sul territorio. Non pianse. Anzi, deglutì e poi disse: "Sono lusingata che lei, professoressa, la veda in questo modo perchè giudica incredibile che qualcuno della mia età possa aver scritto quel compito. Lei, così, mi eleva di ben 10 Fahrenheit sopra la media. La ringrazio, ma forse sta esagerando un pochino. Non sono poi questa grande penna". Jack Pavimento scoppiò a ridere andando indietro con la sedia. "Pavimento! Fuori, immediatamente!". Senza smettere di ridere si alzò e prima di uscire,  si aggrappò alla porta e mandò un bacio a Bella Penna mentre la professoressa, girata di spalle, si sistemava i capelli che, per l'affanno, le erano scivolati sul volto. 
A quattordici anni vinse quattro premi di concorsi di scrittura per adulti. I suoi genitori, Gianni e Vittoria Penna, come di sopra, incrociarono più volte le braccia annuendo stupiti. Bella non leggeva molto, ma si sparse la voce che fosse una scrittrice, un'intenditrice di parole, insomma, e allora non c'era compleanno in cui non le regalassero interi carrelli di libri nuovi e usati, bestseller e, per lo più, classici. Ma un giorno era appoggiata alla lavatrice e leggeva Voltaire ed era un giorno in cui aveva pensato troppo e guardò prima la lavatrice, poi Voltaire. Le parole... i pensieri. Poteva riempirsi di sole parole una vita? Si ricordò di Flaubert o di Proust. Intere giornate in una stanza a scrivere mentre i fiumi continuavano a scorrere sulla fiducia senza che la vista potesse affermarlo con certezza. Uno sguardo, invece, sempre chino sulla carta, sul riflesso della propria testa. Poteva una vita auto-costruirsi, auto-fabbricarsi? Non era speculazione, quella? Intanto, i vestiti venivano centrifugati e scorreva acqua nei tubi. Chum chum chum. Immaginò la sua lapide. Giace qui: Bella Penna, bel sorriso, bella scema. E se il talento, più che essere un dono, fosse una condanna? Gli incompetenti, pensò, sono liberi di provare ciò che vogliono e a furia di tentare, poi, finisce che provano tutto e muoiono felici, molto più felici di me che per anni non ho fatto altro che scrivere convinta di saperlo fare bene. 
"Vabbè- disse Jack Pavimento che in quei giorni ce l'aveva sempre intorno- mica tu scrivi perchè credi di saperlo fare bene. Altrimenti laveresti sempre e solo piatti. Anche quelli li fai bene"
"Che c'entra- rispose Bella Penna appoggiando Voltaire sulla lavatrice- se è per questo non scrivo nemmeno per la gente o perchè la gente pensa che lo faccia bene"
"E perchè scrivi allora? Se ti fossi chiamata, che so, Gertrude Penna, avresti scritto?"
"Si. No. Boh. Forse. Dipende. Io scrivo per necessità. E non so cosa sia il dannato blocco dello scrittore perchè per me non è un lavoro, nè devo cercare gli argomenti. Io potrei parlarti per milleduecento pagine dell'amore che potrebbe nascere tra questa lavatrice e il libro di Voltaire e di tutti i problemi sessuali che si potrebbero creare data l'impossibile interfecondità tra questi oggetti. Beh, e se io ti dicessi che, alla fine, quest'ostacolo verrebbe superato? Se io ti scrivessi che il modo lo si troverebbe comunque?" 
"E quindi, ti basterebbe addomesticare l'indole narrante" la buttò Jack Pavimento con disinvoltura.
"Ma prima...-Bella Penna sorrise- prima, quest'indole di cantastorie, dovrei accettarla e io non sono questa. Non sono il mio talento, Jack. Non sono il mio nome".
"Possiamo essere come Desmond e Molly Jones, se vuoi. E girare il mondo senza scrivere mai. Solo vita e attimi veri" 
"Io non mi chiamo Molly..." disse Bella Penna alzando le spalle.
"Be', possiamo fare finta"
"Ma, poi, si finirebbe per vivere comunque di fantasia"
"Si, ma pensaci: si vivrebbe tante volte e tante persone in una sola. E in quella moltitudine saresti proprio tu, saresti sempre Bella Penna.
C'è più identità nella totalità che nella singolarità".
"Okay, va bene, allora" decise Bella Penna portandosi i capelli dietro le orecchie.
"Okay, Molly".

Quattro anni da Molly dopo e lei, in fondo, si era trovata bene. Era bastato che qualcuno l'avesse chiamata con un nome diverso, l'avesse liberata dal suo destino mostrandole sia le altre strade che quella stessa. E Bella Penna o Molly, qual dir si voglia, aveva camminato molto, aveva bevuto molti caffè piangendo, ridendo e poi si era detta, che, forse, c'era una certa coerenza nel talento di ciascuno. Per anni aveva considerato la scrittura come una malattia esistenziale, sfuggendo nel pragmatismo della matematica e delle scienze. Ma poi, proprio studiando il corpo e la logica, aveva capito che nell'uomo c'è più spazio di quanto si possa credere e che le limitazioni valgono, non tanto per gli incompetenti, quanto per gli uomini privi di fantasia. Ci voleva immaginazione, infatti, secondo lei, per accettare il pensiero che si poteva essere tante cose in una vita. Un essere tante cose che non aveva a che vedere con la divisione oraria del giorno, nè con la divisione delle personalità. Si poteva ingrandirne una sola arricchendola senza settorializzare le conoscenze. Bella Penna capì, con l'aiuto di Jack Pavimento, che avrebbe scritto ancora, ma avrebbe fatto anche le altre cose che amava. Smise di essere Molly. Tuttavia, non ritornò a chiamarsi Bella Penna. Scelse il suo nome intero, Isabella o Arabella Penna. Quale dei due non ricordo poichè quella non è la parte della storia che mi rimase impressa. In quella parte di storia (non che questa sia una storia...) la signorina Penna camminava già per la sua strada, troppo lontana perchè arrivassi a vederla. 

15/01/13

Because




di Cristina Taliento


















Perchè non c'è due senza tre. Perchè si. Perchè no. Perchè io sono così. Perchè ognuno muore solo. Perchè mi andava. Perchè non lo so. Perchè tanto non capiresti. Perchè me l'ha detto la mamma. Perchè dovevo studiare. Perchè il cielo è blu e mi fa piangere. Perchè non ti sopporto. Perchè tanto che me ne importa. Perchè ho altro da fare. Perchè il 5 non passa dopo le ventitrè. Perchè fa freddo. Perchè quando la mia fiducia è persa, è persa per sempre. Perchè per sempre non esiste. Perchè il sole sorge a est. Perchè, infatti, ti stai sbagliando. Perchè io. Perchè so quello che sto inseguendo. Perchè non so chi sei. Perchè si è finito il lievito. Perchè me ne sarei andata comunque anch'io, prima o poi. Perchè. Perchè eh già. Perchè vabbè. Perchè è caduta la linea. Perchè i gatti fanno miao e i cani fanno bau. Perchè si sta come d'autunno sugli alberi le foglie. Perchè io sono di me la quintessenza. Perchè io non sono quella che tu credi che io sia. Perchè lasciami in pace. Perchè devo giocare a campana. Perchè si nasce e si vive una volta sola. Perchè sapevamo di essere belli. Perchè basta. Perchè mi sono stancata. Perchè è pronta la torta. Perchè ciao. 


11/01/13

La Repubblica del Bagno

di Cristina Taliento


(Four sporting boys: basketball, Norman Rockwell)


Lo sapevano tutti che le migliori teste dell'Unione degli Studenti, della Consulta provinciale e del Consiglio d'Istituto si erano temprate nel Bagno. Si notava subito, infatti, se un candidato veniva dalla saggistica filosofica e letteraria dei maestri, dalla politica dei telegiornali, dagli insegnamenti politici di un genitore colto, per fare un esempio, o se, invece, veniva mandato, per sentenza comune e spontanea, più semplicemente, dal Bagno. Da generazioni, ad ogni modo, vincevano sempre i candidati del Bagno perchè erano, da generazioni, quelli che avevano avuto il coraggio di bussare alla porta del Bagno anche senza essere studenti del quinto anno, quelli che avevano schiarito la voce per esporre le proprie idee tra i sifoni e le tubature di un vecchio bagno, appunto, collegato agli ex spogliatoi femminili della palestra del liceo classico Virgilio, sede centrale, sotterraneo. 
Si riunivano lì, ma passavano come incontri casuali: "C'è la fila. Ehi, allora, questi partiti? Eh?". Ma poi la fila si annullava e rimanevano a parlare dei partiti per tutta l'ora di educazione fisica.
I primini non ci andavano mai. Preferivano andare a tirare gli scarichi dei bagni del secondo piano e non perchè funzionassero meglio, ma lo facevano soltanto per evitare, più che la rissa, il dibattito. Altri fingevano disinteresse per il Bagno, dicevano "che cazzata farne parte"; erano quelli che non avevano idee e andavano a farla dietro gli alberi o se la trattenevano fino alle due o, peggio ancora, se la facevano addosso. Altri ancora criticavano il Bagno, accusandolo di essere al pari di un' associazione mafiosa, un covo di incannati e sproloquianti cretini, ma, poi, questi che lo dicevano erano i primi a chiedere ai bidelli di farsi dare le chiavi del bagno docenti inventando fantomatiche necessità d'igiene e altre scuse prive d'inventiva. Però, a prescindere da che bagno usassero, tutti, di fronte alla scelta di votare qualcuno, sceglievano, alla fine, il candidato presentato dal Bagno, perchè, di certo, aveva tagliato nebbie di fumo affrontando voci di destra e di sinistra, questioni morali, decenni di politica nazionale e internazionale, ingombranti contraddizioni interiori e scritte sulle porte; aveva sacrificato intere ricreazioni, interrotto lezioni di greco per argomentare le sue idee e tirare colpi di fioretto agli avversari più anziani, prossimi al diploma; aveva affrontato tutte queste cose e dopo, solo dopo, l'aveva fatta. E il suono dello sciacquone, a battaglia vinta, sembrava quasi un applauso, a pensarci. 
Si, il Bagno era come un'agorà fatta di jeans scuciti e sigarette arrotolate sul momento, aspettando l'elaborazione totale di un pensiero mai pensato, un concetto originale di una mente non lavoratrice, non ancora sposata, senza figli e, soprattutto, giovane, nuova,  immersa, in tutto o in parte, nell'apprendimento della letteratura grandiosa del mondo. Il Bagno era la dimostrazione concreta che la creatività giovanile superava le condizionate trovate di una testa adulta, la prova evidente che i migliori pensatori e scrittori erano ragazzi, i migliori osservatori, ragazzi. E tra ragazzi si sapeva che vinceva chi faceva restare tutti in silenzio e gli altri, al suo livello, con le stesse All Stars ai piedi, sapevano riconoscerlo. Per questo, in giro, la chiamavano la Repubblica del Bagno. 

05/01/13

Supermercato delle 4 p.m.

di Cristina Taliento

(It's all good, Tom Martin, acrylic on panel, 2009, 120 x 120 cm, Plus One Gallery, London) 

Mi disse che dovevo, qualche volta, guardarmi da fuori. Intanto un invecchiato Robbie Williams, dall'altoparlante in alto a destra, si giocava gli ultimi avanzi di una brillante carriera. "E che significa, scusa?- chiesi io smettendo di pensare un attimo a Robbie Williams- Chi è Fuori? Lo conosci, è amico tuo? Eh no, scusa, perchè tu non puoi dirmi una cosa del genere senza analizzare tutti i dati del problema... E se Fuori ha bevuto? E se Fuori fuma marijuana tutto il tempo oppure ha un trauma infantile? Ci pensi a questo? E poi magari mettersi nelle mani di questo  Fuori, annullarsi completamente nel nome di questo Fuori perdendo ogni identità e dignità per poi scoprire che Fuori non è altro che un umano confuso che fa finta di controllare il cellulare quando non sa che dire, che si lega le scarpe facendo prima le orecchiette ai lacci invece di passare il filo intorno al dito, che magari è un frustrato negazionista della Shoah oppure un pallone gonfiato che non ha letto mai nemmeno un libro. Il fatto di vedersi da fuori è un po' una bufala pazzesca inventata da non so chi, perchè noi, vedi, siamo individui unici e l'umanità esiste soltanto in un contesto di approssimazione. Tu non puoi pensare che la verità su te stesso sia fuori, negli sguardi sfuggenti di chi incroci in questo supermercato perchè la verità sta dentro di te e lì soltanto. Lo sai cosa sei per quella signora laggiù, quella vicino al banco della frutta? Se ti guardasse ora, proprio ora, tu saresti un'arancia perchè è a quello che lei sta pensando ora. Lei guarda te, ma guarda un'arancia. E tu non devi spaventarti per questo, non devi ragionare per forza su cosa si abbina all'arancione perchè tu non sei  e mai sarai un'arancia. Però se non sai queste cose, rischi di comprare un sacco di sciarpe sul beige poichè, pensi, beh se sono un'arancia meglio evitare i colori come viola o verde, contrasterebbero troppo. Il punto è che, nel profondo, tu ami il verde! E che peccato ripudiare il verde per una signora che di sfuggita, ti ha guardato da fuori e, presa dai fatti suoi, ha pensato arancia!".
"Hai finito?" disse mettendo una scatola di cereali nel carrello.
Da qualche parte i R.E.M. iniziavano a cantare. Forse si chiamava Überlin quella canzone. Mi piaceva il ragazzo del video.