29/04/12

La metamorfosi idiota (XIV)

di Cristina Taliento

(Boy, Lucien Freud)

Come era nelle sue abitudini serali, impazzì. Iniziò a ridere di un riso malsano dondolandosi sulla sedia avanti e indietro. "Ehi! Ehi! Un daino dice a un altro daino..."
"Non cominciare, ti avverto" borbottò il fantasma del medico morto durante la Prima Guerra Mondiale.
"Ehi! Un daino dice a un altro daino: giochiamo a nascondaaaaino? E l'altro daino fa: daaaaai no! Ah-ah-ah, daaaaai no! Ehi! Ridi, dai. Ridi. Ridi. Ridi."
Il fantasma chiuse il libro che stava leggendo: "Fermo con la sedia. Ti spezzi l'osso del collo".
L'adolescente schioccò la lingua e prese a ridere più forte, ma il fantasma tornò a leggere indifferente e calmo.
"Eh va bene, al tre sono serio... Uno, due e tre.  Che si dice di Wall Street? Hai controllato la borsa oggi? Ho sentito che a Milano oscilla nervosamente, poi accelera con una netta progressione e chiude quasi a più due virgola non ricordo per cento. Ma questo è meraviglioso, ho pensato. Non credi anche tu?"
"Ah-disse il fantasma annuendo mentre sintonizzava la frequenza radio- e la Germania?".
"Si, si...Il ministro Philipp Rosler non si è fatto alcun problema a cantare... Don't worry, be happy. Don't worry, be happy!"
"Lo sapevo" disse sprezzante il fantasma. "Don't worry uuuuuu-uuuu- fece l'occhiolino-be happy uuuuuu-uuuu". Cantava per tutta la stanza dandosi il tempo con la testa e le spalle.
Intanto dai libri sullo scaffale iniziavano a sentirsi delle voci.
"Zitto". "Dio, Gesù... fatelo smettere". "Piantala con Bob Marley". "Ben detto! Basta con Marley!"
L'adolescente si fermò di colpo e dirigendosi con  passo veloce verso gli scaffali esclamò: "Non è di Bob Marley, stronzi!!".
"Uè, uè, queste parole" lo rimproverò il fantasma.
"Dove è il limoncello? Le sigarette?" chiese con tono agitato, pur scandendo le parole.
Le voci continuavano. "Oh no, non mi dite che adesso si ubriaca". "Con il liquore fatto dalla mamma". "Quando è ubriaco inizia a piangere". "Per la miseria che lagna". "Quanti anni ha?". "Diciotto". "Avrei detto dodici". "
Aprì il cassetto della scrivania e prese una bottiglia cilindrica. Tolse il tappo di sughero con un largo gesto e iniziò a bere con una mano sui fianchi. "A Dio" mormorò il fantasma.
Dopo qualche secondo, allontanò la bocca dalla bottiglia e sorrise. Sembrò che volesse dire qualcosa... gli occhi sospesi in un' ispirazione. Ma poi scosse il capo. "No! Volevo dire... che magnifica giornata! Sento il profumo della primavera "
"E' già partito". "Fa solo la finta". "Povero ragazzo". "Credo che in fondo soffra". "Benissimo". "Ma è un dolore arrogante e sciocco". 
"Ehi Piero, accendimi il computer. Devo controllare le notifiche".
"Non sono il tuo schiavo" rispose il fantasma e lo guardò severo. L'adolescente ignorò le risatine dei libri e con la stessa impacciata disinvoltura della vecchia prozia Genoveffa disse: "Molto bene". Si sedette sulla sedia e fece un maestoso giro sulle rotelline di plastica, poi iniziò a premere con forza i polpastrelli sulla tastiera e non si accorse del fantasma che, ritto dietro le sue spalle, leggeva i messaggi sullo schermo.
"Vattene!" gridò mostrando i canini appuntiti come quelli dei lupi. "Ha paura che io possa disapprovarlo" spiegò il fantasma ai libri.
"Che faccia quello che vuole". "Non sta a te decidere". "Scusate, di cosa cazzo stiamo parlando?". "Oh Charles come sei antico". "Si parla di Facebook". "Una specie di gioco". "Aaaah". "N-Non è un g-g-gioco, Ralph, è un mmm-morbo!". "Per Bacco, un morbo!". "Lascialo perdere, Ralfo, è solo un modo per affermare e ribadire la propria esistenza". "Che ben venga, allora"."N-Non sono d-d-d'accordo per niente. Ripeto, per n-n-niente". "Avanti signori, non mi aspettavo di sentir parlare così da uomini di letteratura... Ragazzi, siamo stati sempre aperti alle novità". "Giusto, è il nostro mestiere". "E se il ragazzo vuole far parte di questo, come si chiama?". "Facebook". "E se il ragazzo vuole far parte di  questo Facebook sta solo vivendo il suo tempo. Basta! Noi inglesi diciamo: ci sono un sacco di pesci nel mare". "Mah...". "Vabbè...". "E già...". "E b-b-bò!".
Ma l'adolescente era ritornato a fissare incantato lo schermo e non ascoltava quei commenti che da settimane si era imposto di ignorare. Le sue giornate erano state da lui stesso improntate alla normalità, nozione su cui peraltro si era molto dibattuto e di cui molti sostenevano l'inesistenza; tuttavia l'adolescente si era solo guardato intorno e dietro i suoi pesanti occhi azzurri aveva visto un mondo in movimento al centro del quale lui non poteva fare altro che girarsi e osservare. Se la normalità non fosse esistita lui avrebbe scorto delle diversità, ma da quella posizione il diverso lo vedeva soltanto abbassando lo sguardo sulle sue scarpe di tela strappate. E invece di affermare il suo essere originario aveva deciso di convincere gli altri che il suo amore per il calcio era sincero, che aveva la bella testa di suo fratello, che certo se gli andava uno spinello. Alcuni ci avevano creduto e poi avevano sbadigliato. Altri  avevano alzato le spalle delusi e si erano allontanati per sempre. Egli sorrideva ai primi e qualche volta pensava ai secondi e se avesse potuto sparire, andarsene con loro, l'avrebbe fatto, ma poi, lo sapeva, sarebbe finito lo stesso seduto su un masso a raccontarsi che noi siamo il risultato delle scelte che facciamo, che il pragmatismo è tutto e nella vita d'altronde bisogna essere combattenti e non contemplatori. La letteratura distoglieva dalla realtà. La scrittura inquinava il vero io. L'arte generava malessere. La poesia mentiva. La musica produceva illusioni. La filosofia portava al suicidio...
"Io vedo solo questo ragazzo paranoico che la sera soffre e lo chiama dare di matto" disse il fantasma alle sue spalle e lui fece finta di non sentire.
"Soffre per le bugie che si è detto" continuò e l'adolescente guardava lo schermo, ma in realtà piangeva.
"Le sue lacrime sono le sbarre della prigione che ha alzato".
Disse piano voltandosi: "Che cos'altro devo fare? Non voglio finire come nessuno di voi. Non so da che parte devo andare...Vorrei essere dieci, undici cose insieme e poi niente. Vorrei essere alto da vedere tutto oppure basso e non accorgermi di quello che c'è... Invece sto a metà tra l'infinito e il limite. E che cosa ci guadagno a starmene qui a piangere come un bambino? Non c'è niente di sbagliato a controllare le mie notifiche... ".
"Va bene, va bene-disse il fantasma dando due colpetti sulle sue spalle- hai capito quello che voglio dire. Basta che non dimentichi te stesso".

21/04/12

La metamorfosi idiota (XIII)

di Cristina Taliento

(Giuditta che decapita Oloferne, Artemisia Gentileschi, 1620, olio su tela, Galleria degli Uffizi, Firenze)

Il passato dei secoli e di Roma era seduto in quell'immenso teatro e lui sul palco immaginava quel vecchio che fumava la pipa sui gradini della Cattedrale con accanto, arenata in discesa, la sua barca a remi dipinta di rosso e verde bottiglia. La letteratura romantica sedeva in prima fila, gli impressionisti in piedi vicini all'uscita parlavano con le mani sui fianchi e ogni tanto giravano la testa per guardare l'adolescente sotto le luci. Ridevano. C'erano classicisti dappertutto e filosofi dappertutto. Un uomo girato di spalle poteva essere D'Annunzio oppure Pirandello e quello a fianco Marco Aurelio. Alcuni gatti camminavano con la coda alzata sulle travi più alte a cui era appeso il sipario. "Mi ritiro da questa scena" disse l'adolescente e soltanto pochi lo ascoltavano. "Ho chiuso, basta, me ne vado" disse dopo una pausa. Molti dei romantici francesi accavallarono le gambe e incrociarono le braccia. I grammatici della lingua italiana sorrisero con approvazione. "Non pensate che non ci abbia riflettuto. Voglio dire, l'ho fatto. E secondo me, secondo molti, anche, questo scrivere arrovellato appesantisce e uccide". Un gatto saltò silenzioso sul palco. L'adolescente lo prese in braccio e continuò: "Si, non mi sono reputato all'altezza di questo impiego. Credo per mancanza di fegato". Annuì a ciò che aveva detto. Qualcuno si schiarì la voce. Herman Melville. "Questo lo capiamo giovanotto, ma... qual è il punto?" chiese dietro la pesante barba scura. Il gatto miagolò. Miaooo. E ancora miaooo. "Il punto, signor Melville, è che non voglio morire da uomo che ha pensato tutta la vita. Scrivere è, in qualche modo, pensare ed io ho deciso che voglio per lo più fare altre cose".
"Che genere di altre cose?" chiese malinconico Chateaubriand con il pugno che reggeva il mento.
"Lavorare, per esempio" rispose l'adolescente mentre accarezzava la coda del gatto. Cecco Angiolieri scoppiò in una risata sguaiata. Petronio si girò a guardare il poeta disgustato e poi disse: "Perdonalo, caro, ma di questi tempi la volgarità è proprio ovunque. Ad ogni modo, non dovresti giungere a conclusioni così affrettate. Hai considerato i vantaggi dello scrivere? E poi vorrei chiederti, sei sicuro di essere impassibile alle grandi opere della letteratura?".
"Mah-fece l'adolescente- senza offesa, mi avete deluso tutti". Un bicchiere di assenzio cadde a terra. Il gatto rizzò gli artigli e fuggì spaventato. Dante Alighieri portò lentamente una mano alla bocca: "Misericordia..." disse tremando appena.
"Signori, poeti, vi supplico, vogliate comprendere. Sono molto confuso, ma quello che ho detto è vero. Voi, padri della letteratura, non avete sbagliato a scrivere, ma... ecco... a pubblicare! Dovevate farvi, come dire, gli affaracci vostri! Gli affaracciacci vostri!". Iniziò a ridacchiare con le labbra chiuse e poi a ridere sempre più forte.
Petronio serrò la mascella indignato e si guardò la spalla con le sopracciglia alzate. I puristi della lingua indietreggiarono a rallentatore. Il professor Carducci si alzò con aria pragmatica e disse: "Gli sciocchi soltanto rinnegano con tale arroganza i padri che li hanno cresciuti. E con questo dico che lei si è servito della letteratura passata per scrivere le sue ridicole opere e adesso ci sputa addosso la sua saccenza!"
"Ma stai zitto, pagliaccio! Ti hanno già declassato a poeta di serie B e ti assicuro che i miei figli non sapranno nemmeno il tuo nome, tanto hai rotto le scatole con la pargoletta mano, il triste decumano dà bei vermigli in fiore! La damnatio memoriae è ciò che ti spetta, deficiente!". A quel punto molti scrittori uscivano dalla sala in segno di protesta e  Pascoli faceva un segno tacito al servizio d'ordine di prendere l'adolescente e portarlo via. E mentre lo afferravano per le gambe e per le braccia gridò mentre si divincolava: "Con voi, maledetti fascisti, finisce sempre così. Lo sapevo io che non si poteva parlare. Eh lasciatemi! Ma adesso sono proprio sicuro che con voi ho chiuso e che mai più scriverò altre parole. Neanche pef idea a difventare come fvoi, gufi impagliavfti, lasciafvtemi!". Così scomparve dietro le quinte, come tutti gli attori e i condannati a morte, e forse fu soltanto un'allucinazione quella di aver visto Joyce che gli faceva l'occhiolino.

12/04/12

La metamorfosi idiota (XII)

di Cristina Taliento


(I giocatori di carte, Paul Cèzanne, oil on canvas, 1892-1895, Musèe d'Orsay, Parigi)


La delusione era un velo di lutto calato sul suo viso bianco di morte. La mascella contratta, gli occhi assenti non guardavano più la luna, ma soltanto trapassavano l'aria distratti e come uncini rimanevano impigliati in ciò che sporgeva nello spazio: il rigido schienale di una sedia, un gatto, una scala di legno. Quegli occhi si chiudevano taciturni e lasciavano qualche volta libere le lacrime che egli non era riuscito a combattere. Aveva scritto Flaubert: "Non c'è nulla di così umiliante nel vedere gli sciocchi riuscire nelle imprese in cui noi abbiamo fallito". L'adolescente pensava dentro di sé che l'umiliazione stava nell'aver sottovalutato gli altri, nell'aver scambiato i loro nomi con comici appellativi e bonari compatimenti, nell'aver, più di tutti, creduto di essere, in qualche modo, migliore. E al nobile suono di quella confessione, piangeva più forte perché si commuoveva all'immagine di se stesso che soffriva e che nel dolore correggeva finanche Flaubert in virtù di un più illustre e raro sentimento. Premeva i palmi sulla fronte promettendosi una vita ai confini del mondo. Voleva essere ora un emarginato, uno di quei lebbrosi del Vangelo oppure il guardiano di un faro lontano dai villaggi e dalle città abitate. Desiderava espiare in riva al mare la colpa più grave che avesse mai potuto commettere: essersi sovrastimato. Si afferrava i capelli scompigliati criticando le sue abitudini. Ah! Se avesse rischiato di più! Se avesse teso di meno alla perfezione e di più al godimento sfrenato, alla bottiglia, agli amori! Digrignava i denti pensando a quanto insensate risultassero chiaramente ora le sue limitate perseveranze, la sua obbedienza, l'impegno sociale, il rispetto, il duro lavoro, la prudenza. Non erano che arbusti contro cui aveva per lungo tempo appoggiato la schiena mentre s'illudeva di essere sempre stato dotato di un portamento ritto per natura. E poi quegli alberi se l'era portati via la burrasca e lui si vide come un piccolo ramoscello incagliato nei legni spiaggiati di una vecchia barca. "Vorrei non aver dato mai tanto valore a quello che ho amato tanto" si disse a bassa voce. "Non si può amare qualcosa senza legarsi indissolubilmente ad essa" gli ricordò piano il fantasma alle sue spalle. Le sue mani tremarono appena attraverso i capelli. "Quei progetti, quelle cose in cui ho creduto!-gridò voltandosi l'adolescente- Non mi sono mai appartenute e mai mi apparterranno. Ingenuo, ho aspettato che questa delusione mi convincesse che ho sbagliato ogni scelta, ma perché non me ne sono accorto prima? Oh fantasma, perché tu non mi hai avvertito?". Ma il fantasma era scomparso già. Probabilmente, se fosse rimasto, gli avrebbe detto: "Bada, chi può mai sapere quale strada sia più giusta o più sbagliata, quale illuminata dal più grande sole d'oriente, quale, invece, accompagnata dal più bel tramonto?". E sospirando avrebbe aggiunto:"Ragazzo, non devi fare della tua nuova delusione la critica delle tue scelte passate, ma la lente che meglio analizza quelle da prendere in futuro, è questa l'esperienza...". L'adolescenze, tuttavia, si sarebbe alzato e l'avrebbe interrotto: "Lasciami stare!". E sotto lo sguardo di disapprovazione del fantasma, a dispetto della sua evanescente debolezza, avrebbe aperto la finestra sbattendo le ante contro il muro e fatta uscire la testa nell'aria fredda, avrebbe poi gridato con tutta la voce giovane e arrabbiata che aveva in corpo: "Ballate burattini! Ballate, belli scemi, chè vi vogliono contenti!".

06/04/12

Wisteria o Il glicine

Vissi per il glicine
per il glicine soltanto.
Ho vagato nell'oltretomba
seguendo sciami di farfalle e
polveri.
Ho aspettato mille anni prima
di rivederti.
Bagliori di sommosse
mi illuminano gli occhi e
accusano violenti
il mio lungo indugiare.

(C.T.)

La metamorfosi idiota (XI)

di Cristina Taliento


La penna batteva sul foglio come la pioggia d'aprile. E lei capì subito che il resto del capitolo non sarebbe stato all'altezza di quella prima frase. "Io preferisco la seconda" mormorò annoiato il fantasma che sedeva scomposto sulla poltrona vicina alla finestra. Un raggio di luce veniva intarsiato dai disegni della tenda e sullo schermo, privato dell'audio, John Lennon suonava la chitarra masticando noccioline. "Vorrei arrivare ad inchiodare con la penna l'essenza delle cose e veder sgorgare inchiostro nero tutte le volte che mi gira" disse l'adolescente alzando la testa dal foglio. Il fantasma finse uno sbadiglio rumoroso. "Questo di solito non accade con quel genere di penne a sfera", disse poi. Il fantasma allora si alzò in piedi e scomparve. Tre ore dopo tornò con uno scalpello, delle matite, un vaso di vernice e lei scriveva ancora.

"Che cosa sono quelle cose?" chiese. "Strumenti del mestiere!" rispose con un sorriso raggiante. "Non sono mica un falegname" borbottò. "No, in effetti non puoi dire di esserlo. Sei parecchi gradini in basso dall'essere qualcosa". L'adolescente si avvicinò a vedere quello che il fantasma stava ordinando sul tavolo.

"La tecnica sta nella manualità. Prendi questa matita. La vedi? Non ha paura di scrivere sul carparo, figurarsi sul tuo quaderno. Passami quello scalpello, quello laggiù". E impugnato lo scalpello iniziò a buttare colpi veloci e fermi sulla punta fino a quando non fu temperata.

"Stai sporcando tutto il pavimento di trucioli per una matita" disse l'adolescente alle sue spalle.

"Benissimo! Questo è proprio l'ambiente ideale: polvere e sporcizia. Nutrimento della fantasia!"

"Che schifo..." borbottò l'adolescente con le mani infilate nelle tasche della felpa.

"E ora prendiamo questi cartoni-il fantasma li gettò a terra- qui scriverò. Prendi la vernice." "Ce l'hai sotto il naso". Aprì il barattolo con un coltello che aveva in tasca. Utilizzo la mano da pennello e annerì il cartone con la sostanza nera. Poi prese la matita e iniziò a forare il cartone. "Guarda, devi lavorare di spalla. Il movimento parte dall'alto". Ciak, ciak, ciak.

"Mah!-esclamò l'adolescente scettica- Non capisco la ratio di questa cosa".

"La ratio!-ripetè ridendo il fantasma- Non mi distrarre, ah-ah-ah. Piuttosto adesso prendi potere sull'inchiostro. Annusalo, sniffalo fino a sentirlo fuso al cervello. Concentrazione cieca e spettrale. Questa matita, prendila, è il prolungamento delle tue dita. Tu non sei pronta, ma io si. Vai, scrivi, ti detto". "Dove devo scrivere?" chiese l'adolescente che manteneva la matita in bilico tra pollice e indice. "Sul cartone, dove c'è spazio. E, per Giove, impugnala bene quella matita!"


L'adolescente prese il cartone bagnato di vernice e lo appoggiò sul tavolo. Poi si preparò a scrivere quello che il fantasma, ritto con il collo alto, era pronto per dettare.

"Lettera maiuscola: vissi per il glicine. A capo, per il glicine soltanto. Ho vagato... nell'oltretomba seguendo sciami di farfalle e polveri. A capo, ho aspettato mille anni, virgola, prima di rivederti. Togli la virgola. Ehm, ehm, bagliori di rivoluzioni ombrano il mio cuore. No, bagliori di sommosse mi illuminano gli occhi e accusano-dicevo, accusano-il mio lungo indugiare..."