27/03/12

Lettera a Francesco De Gregori

Caro Francesco,

quando avevo sette anni dopo aver letto Il Piccolo Principe mi misi a scrivere una lettera ad Antoine de Saint-Exupéry, lo scrittore. Avevo queste tre domande paranoiche e mi sarebbe piaciuto davvero conoscere le risposte, ma scoprii, cercando l'indirizzo, che non si avevano notizie di Antoine de Saint-Exupéry dal 1944; in pratica era partito per una missione con l'obiettivo di sorvolare la regione di Grenoble-Annecy, fu dato per disperso e non se ne seppe più nulla. Secondo me, un guasto aereo, qualcosa nel motore e a quei tempi d'altronde era comune che un aereo cadesse così, per volere del vento.

Anche tu, io lo so, per una ragione o per l'altra non leggerai questa lettera, ma non te ne fare una colpa perché, alla fine, dopo tutto quello che posso riuscire a dire, mi hai risposto già.

Esistono certe canzoni grandiose che le canti ovunque, ritmi talmente coinvolgenti che ti chiedi come fanno, testi stilisticamente perfetti e cantanti che vincono cinquemila Grammy Award, che vendono triliardi di dischi, che ballano e cantano insieme senza la minima traccia di fiatone. Invece le tue canzoni, come mi ha urlato ieri mia sorella sono simili tra loro e anche un po' monotone. Ma mia sorella è fatta così; non bisogna prendersela e poi ha reagito in quel modo perché il volume era troppo alto. Un'altra volta invece ad un matrimonio un ragazzo mi ha detto che le tue canzoni le capisci solo tu. Io ho risposto: "Dipende". Anche se è una risposta un po' da immaturi, di chi non sa forse bene cosa dire, ora vorrei scriverti, e chissà quante volte l'avranno fatto, che le tue canzoni entrano silenziose nell'anima e puoi impararle a memoria a furia di ascoltarle, ma andandole a ricordare è più il senso che resta, quella fiammella di note, di poesia e di non so cosa. Figurarsi se devo essere io a spiegartelo. Mi viene da ridere. Io non sopporto sentir parlare di me e magari nemmeno tu lo sopporti, però il fatto è che secondo me uno lo deve sapere se è riuscito a cogliere il grande segno, il bollino rosso da un milione di dollari, come dicono gli americani, perché poi, e dico poi, uno può fare finta di non aver sentito o arrabbiarsi sbattendo la porta o ringraziare con mezzo sorriso per finirla lì subito e togliersi l'imbarazzo e tutto il resto, ma lo deve sapere. E allora ho pensato di dirti che dietro ogni -ismo di questa adolescenza un poco strana- femminismo, esistenzialismo, cosmopolitismo, pacifismo, antifemminismo, liberalismo, antifascismo, individualismo, neo romanticismo, neo surrealismo- al di là di ogni -ismo e al di là dei Clash e degli Smiths io sono sempre tornata da te. Perchè, a mio avviso, la tua è la voce più dolce e fantastica del mondo e nessuno potrà mai competere con te.



Con affetto,

Cristina

25/03/12

La metamorfosi idiota (X)

di Cristina Taliento


(Primavera a Giverny, Claude Monet, 1886)


"Fumi?" chiese mostrando un portasigarette di metallo dorato.

L'edera non smetteva di crescere sul tronco della grande magnolia, si muoveva, si allungava curvilinea con lo stesso debole rumore di un uovo che si schiude . La luce passava attraverso le foglie creando effetti di carta velina nell'aria, sui loro volti, tra le piume nere delle gazze.

"Ho notato che non chiedi mai" disse d'un tratto l'adolescente arrogante con tono sospettoso.

"Pensa che imbarazzo se poi nessuno mi rispondesse. Voglio dire, non riuscirei a sopportarlo" rispose ridendo Livia coprendosi gli occhi con le mani.

"Che cosa importa se non ti rispondono? Non è mica per quello che si fanno le domande..."

"E per che cos'è allora, se posso domandarlo?"

"Per sentire che suono hanno i propri dubbi, ovvio. Le persone parlano per ascoltare la loro voce, non c'è altra ragione."
"I miei dubbi preferisco il più delle volte scriverli. Spesso trovo anche delle risposte."
L'adolescente arrogante si portò dietro i capelli con un movimento agile del polso.

"Io non scrivo mai. Preferirei fare tre volte a nuoto fino alla Corsica piuttosto che prendere una penna in mano. Scrivere non è vita, io credo. Al contrario, è tutta speculazione filosofica".

Si fermò a riflettere mentre scrutava le formiche che camminavano in fila lungo un ramo.

"In realtà, a dirla tutta, io prima scrivevo- disse balbettando per la fretta di spiegare-Pomeriggi interi, che strazio... Poi un giorno è morto il mio amico immaginario: un infarto fulminante. Una roba da pazzi. E le ultime parole che mi ha detto in punto di morte sono state: 'Joe-lui mi chiamava Joe perchè credeva fossi una specie di bandito del West, non ho mai capito bene- Joe- mi disse- promettimi che la pianterai di scrivere e comincerai a spassartela, Joe. Altrimenti quella miopia ti farà secco e diventerai cibo per cani'. Si, credo che volesse dire proprio 'cibo per cani'. Non capii bene perchè un attimo dopo era morto, ma lui, in fin dei conti, parlava così".

Ma Livia si era messa a cantare distratta: "I try to laugh about it, hiding the tears in my eyes , because... boys don't cry, boys don't cry".

"Sono i Cure, non è vero? Conosco le loro canzoni a memoria. Le so tutte e per di più conosco anche gli accordi e gli arrangiamenti e le cover. "

"Oh, non mi sono mai piaciuti i Cure- disse Livia interrompendolo- fino a quando un giorno mio nonno era triste ed ha acceso la radio e stavano dando questa canzone e lui ha iniziato a ballare per tutta la stanza".

L'adolescente arrogante tenne le sopracciglia alzate per un poco. Poi annuì.

16/03/12

La metamorfosi idiota (IX)

di Cristina Taliento


(San Sebastiano, Andrea Mantegna, 1481, tempera a colla su tela, 257 x 142 cm, Museo del Louvre, Parigi)


Soffriva ora di un morbo chiamato di Fitzpatrick-Smith. Si rifiutava che la sua pelle vedesse la luce del sole. Teatralmente afflitto si trincerava dietro le pesanti coperte di lana e aspettava che giungesse la notte. 'Sono malato, mio caro Isaac-diceva al ritratto di Newton- e la cosa più dolorosa è che i medici non lo capiscono... Imbecilli! Mi sento così triste e amareggiato, non saprei come spiegartelo. Vedi, la morte aleggia sulla mia testa. Sento avvicinarsi il cavaliere nell'ombra, eccolo sfoderare la spada, Isaac. Mi accarezza la carotide con la lama ed io imploro con voce impaurita oh vi prego, sono così giovane, non mi uccidete, abbiate pietà, prometto di guarire, di vivere intensamente. Così tento un sorriso tirato, ma il cavaliere schiocca la lingua e la mia testa schizza via come una palla da golf, rompe una finestra e cade, splash, in un acquario di pesci gatto... Oh Isaac, sono così annoiato, non saprei come spiegartelo'. Camminava per la sua stanza con una sciarpa nera avvolta su metà del viso, con gli occhi costruiva nella penombra pareti e altre pareti sopra quelle che già c'erano. Si avvicinava allo scaffale di libri e leggeva svogliato alcuni titoli: La Bibbia, Delitto e castigo, Il Piacere. E pensava:

'Che razza di bastardo sei, Gabriele D'Annunzio. Certo, ti avrei eletto comunque mio amico, saremmo andati insieme alle feste, ma non ti avrei chiamato nel caso mi fossi innamorato o nel caso mi fossi cacciato nei guai. Una volta mi hai fatto sentire un perfetto idiota. Continuavi a prendermi in giro per la mia erre moscia davanti ai tuoi stupidissimi amici. Stronzo'.

Oppure si sedeva sul bordo del letto e guardava il soffitto con curioso interesse. Incrociava le braccia sul petto e d'un tratto chiedeva: "Mi giudicate pazzo, nevvero? Invero, lo sono. Per amor del vero, ammazzatemi, forza colpite, sono qui per voi, trascinatemi nel vostro torbido vortice di peccatori e vinti. Ebbene, ho peccato, ho marinato, ho fumato, ho stracciato alcuni libri del nonno, ho tradito, ho rubato soldi per comprare ozio, ho mentito. Si! Ho mentito, sono stato amorale e bugiardo e adesso sparate! Sparate, vi dico". E così si ritrovava steso sul letto, con la faccia immobile di chi ha un dubbio e guarda fisso, la bocca semiaperta. Fingeva il rigor mortis, ma dopo qualche secondo si alzava barcollante per recuperare le pantofole che durante lo sparo erano volate come uccelli.

07/03/12

La metamorfosi idiota (VIII)

di Cristina Taliento

Accadeva talvolta di vedere l'adolescente arrogante ritto dinanzi al cancello di ferro, immobile nel contemplare le palme che sovrastavano il giardino. Qualcuno diceva: "Com'è cresciuto". Altri, mentre il vento soffiava, mormoravano: "Si è innamorato". Ma quell'adolescente non sapeva distinguere i sentimenti dagli alberi, non aveva ancora capito la causa di certi invischiati silenzi di morte o la ragione delle stelle, come mai così belle? Il suo cuore batteva ora in quel giardino, le sue identità crescevano nodose tra le radici della grande palma, si nascondevano tra le piume degli uccelli, volavano lungo le distese verdi insieme ai petali rosati del mandorlo. C'era uno spirito alato di bellezza nella natura. Egli lo sentiva quando la lacrima del tramonto gli tagliava il viso. Allora si chiedeva perché avesse smesso di scrivere e la sua domanda arpeggiava nella sera, volava fiammeggiante a un metro dalla sua bocca e si spegneva per la pesantezza dell'umidità. Più avanti dei bambini lanciavano in alto delle mele e prima di riprenderle al volo battevano due volte le mani. "Laggiùùù- gridò squarciagolandosi dall'alto del tiglio selvatico su cui era salito- per quale ragione voi non scrivereste?". I bambini sussultarono e si misero a correre verso il paese. Li guardò allontanarsi mentre cercava nella tasca il coltellino. Specchiò i suoi occhi di lupo nella lama. Incise nella corteccia alcuni versi di Catullo e poi saltò giù dall'albero uscendo fuori dal suo mondo, incontro al mondo delle storie sempre accese e sempre strane.
"Io non scriverei più per paura" disse alle sue spalle il fantasma del medico morto durante la Prima Guerra Mondiale. L'adolescente inciampò e cadde sulle mani, si girò sulla schiena respirando nella notte. Guardava ansimando il fantasma senza rispondere.
"Talvolta è per un giudizio critico per eccesso o per la paura, come dicevo, di affermare se stessi".
"Oppure perchè non si riesce ad afferrare la penna tanto è inconsistente la mano, messer fantasma!" sputò scontroso l'adolescente.
"Bada, ragazzo!- lo intimò con voce grave- abbi rispetto per i morti e per la tua testa. Tu non scrivi per fuggire il pensiero, per tenere conservato il dolore come olio bollente quando sai, lo sai, che scrivendo lo raffredderesti alzando una gran tempesta di vapori"
L'adolescente si alzò da terra barcollando per la rabbia e la confusione della caduta, si battè ferocemente le mani per pulirle dalla terra e dal sangue, le strofinò sui jeans e sul maglione Poi s'inclinò in avanti per confessare un segreto e disse con voce affilata:
"No, no. Tutto qui è traducibile in parola, persino il vostro essere evanescente e sciocco. Tutto! Le foglie, queste mani, la luna alle vostre spalle, la rugiada che cadrà tra qualche ora. Ma lo sapete che cosa mi stritola i visceri e m'affama e mi si avvinghia al collo? Voi non lo sapete perchè siete medico e uomo di scienza! Fate i vostri calcoli e decidete su dati che già esistono e si trovano sdraiati sul tavolo operatorio! Credete di studiare i miei vuoti di emozione, di rincondurre alla paura queste lotte intestine, ma non potete! Non lo potete fare perchè vorrei descrivere questo dolore e non so come fare, vorrei parlarvi della Bellezza che talvolta riesco a scorgere in una larva e mi arrivano in testa parole fabbricate da sceneggiatori di film che non contano nulla. Nulla! E mi elevo al cielo, allungo i muscoli fino a sentir salire il crampo, mi innalzo spiritualmente fino ad acuire i sensi, ma il più delle volte finisco ad abbracciare il suolo nella posizione fetale di chi nasce per la prima volta, con le ginocchia sporche di terra, gli occhi imbrattati di lacrime. Vorrei! Vorrei... tendere la mano all'infinito! All'infinito!"
"E non scrivo perché la mia ispirazione vola oltre il mio talento! Mi ammalia il cervello con pensieri di gioia, mi fa conoscere le passioni, le storie di tempi passati e poi vuole in cambio ogni cosa! E che cosa importa se io nel frattempo muoio alla ricerca del valore perfetto da dare alla parola, se nel frattempo dimentico l'esterno e gli altri per rincorrere quello che non potrò mai afferrare? Che importa!" gridava ora disperato; le mani nei capelli, poi sugli occhi, nei capelli.
"Ragazzo-disse il fantasma medico e ripeté- ragazzo, calmati. Avanti, respira".