15/10/11

Manifesto della Letteratura Smarrita


di Cristina Taliento



(Large Flowers, Mihàly Munkàcsy)



"Inizierai a darti delle arie, Cri. Inizierai a scrivere in corsivo con una bella grafia col gusto di spaventare i lettori". "Guarda! Una farfalla!". "Dove? Non la vedo". "Ma è lì, ma è lì! Mi è presa la paura: ho temuto, per un attimo, che fosse una foglia d'autunno!". Era un sogno romantico che mi era apparso alla mente... volevo scrivere una poesia e un sacco di altre cose, ma non c'era che aridità, un sacco riempito di mele afflosciato nell'angolo della cantina. Ma che cosa sto cercando? Tempus fugit. Era la voce del marinaio lesso. Un marinaio che perì nel Golfo del Messico mentre cercava la via di casa. E mentre cercava la via di casa- dicevo-una grandissima orca lo divorò per intero. Persino il suo giacchetto, tutto. Inoltre, nella mia mente sdraiata sotto le nuvole accecanti di ottobre c'erano quadri: cornici e cornici di quadri accatastati alla rinfusa sopra altre tele, altra pittura. Un maestoso miscuglio di nature morte e fiori dappertutto. Da lontano vedevo una giovane con un ermellino in mano che mi guardava zitta, immobile con gli occhi di fuoco bruno, rimaneva così per un po' e, all'ultimo, mi diceva piano: "Hai perso il tuo furor, sei venuta a cercarlo nelle cantine di Giove". Il mio furor, le cantine, non lo so. A dire il vero, ero uscita a prendere una rosa per masticarne i petali e adesso mi sono persa... voglio dire, questa non è casa mia, non è la mia ispirazione. La Dama adesso sorrideva, poi girava appena la testa e si immobilizzava per sempre, come se non si fosse mai mossa. Tutto ciò mi pareva strano, anche se strano non è un bell'aggettivo, stilisticamente parlando eccetera eccetera. "Questo è il punto- urlò qualcuno alle mie spalle- ti perdi nel suono degli aggettivi, nell'uso di quel verbo, su come canta il verso e poi non ascolti la tua voce, le tue esigenze, la tua sacrosanta sperduta ispirazione! Assurdo! Assurdo!". Era la voce di Willy Shakespeare, oppure di Dio. Allora rispondevo:

"A dire il vero, mio signore, io fuggo l'ispirazione e mentre parlo, perfino, vorrei non aver parlato a questo modo"
"Quale modo?" chiedeva Shakespeare oppure Dio.

"Ispirazione, poesia, scrittura. Vorrei non aver mai conosciuto queste parole, aver abusato del loro fragile significato. Fragile! Vedete? Che razza di aggettivo! Io non voglio mai più, mai più, dico e lo giuro, leggere di quel san Leopardi, del san Rimbaud. Mai più ammirarli, scrivere di loro, adoperare goffamente la loro arte".

E proprio mentre desideravo una risposta o un forte strattone, non mi arrivò indietro una parola, uno schiaffo, ma una pesante pietra mi colpì la testa. Era una spazzola quella che mi avevano lanciato? Me la meritavo? Si?

Avevo diciassette anni fino a questo momento, poi questo oggetto che mi ha colpito la testa mi ha fatto ricordare che potrei averne trenta, ottanta oppure essere già morta (e riposare sotto un pero selvatico, accanto ad un alveare). Chiudete i libri. Quale filosofo, ragazzi, vi è piaciuto di più? Io, credo, Hume. Poi si potrebbe incendiare tutto.

Non sei più concentrata. Puoi alzarti, dare una fine a questa meravigliosa e dolce farsa.

3 commenti:

Felinità ha detto...

Interessante disputa tra se e l'istinto letterario che sa di un'Alice persa nel paesre delle meraviglie artistiche. miaooùùùù

Il Ballo dei Flamenchi ha detto...

già... alle volte basta perdersi.

Grazie per la visita eh!!

Baol ha detto...

Un corsivo messo giù bene ha il suo perchè!