08/04/11

La vera grafia di Genda Antonio, pittore e scrittore

di Cristina Taliento
Il matto Genda, pittore e scrittore, era morto, seppellito, decomposto ed io andavo le domeniche a lasciargli i fiori sulla pancia e non chiedevo al vento, nemmeno piangevo, neanche stridevo. Povero Genda, al suo funerale c'era solo il prete e quattro chierichetti, due colombi spennati e un vecchio dalla barba rossa che batteva la punta del bastone sui marmi grigi. La gente del paese lo odiava, giurava su Dio che lo odiava e sulla parete della sua casa avevano scritto sputi di parole tossiche, vendette superbe, minacce assassine. Il paese era pieno di psicologi arroganti che l'avevano giudicato un santo peccatore, fasullo damerino, un tipo, insomma, da salutare e poi beffeggiare, imitare, spingere, ferire, affondare. Ma lui ricopiava sempre i suoi scritti con una bella grafia che mi assomigliava al moto di una gabbianella sul mare. "Signore-gli dissi- mi fai vedere quei fogli che nascondi con la mano?". Era una mano tremante, piena di rughe e tagli, tagli e solchi profondi. Genda disse di no ed il giorno del suo funerale la sua casa venne aperta dalla polizia ed i curiosi fecero folla masticando chewing-gum e sprezzo verso Genda. A terra, sparsi, c'erano quei fogli che mai avevo visto. Erano pieni di una grafia incerta, traballante. Mi ricordai di quello strano modo di aggrapparsi alla penna, come se questa fosse stata una mano dall'alto che lo afferrava da un mare pieno di squali famelici con le zanne piene di carne. Quella grafia rideva sui ghigni della Psicologia mentre i polli e i neuroni rotolavano sui tappeti rossi dell' ostentata sobrietà. C'erano parole incomplete, frasi che si dissolvevano senza nemmeno un punto e talvolta si vedevano macchie d'inchiostro che parevano rondini morte o pellicani rimasti imbrigliati nel petrolio. Le lettere erano state calcate con così tanta forza che girando il foglio sentivo il rilievo con il polpastrelli e sebbene mi sforzassi di interpretare le fiamme serpentine delle esse, mi accorgevo che ogni lettera era diversa dalle altre, come se ogni convenzione o abitudine fosse stata bandita per sempre dal sigillo di quelle pagine stregate. Mi accorsi che non comparivano parole come "dopotutto", "semmai", "tuttavia". Non c'erano segni sicuri, ma solo schiaffi e sputi di qualcuno che mai nessuno conobbe fino in fondo.

3 commenti:

Adriano Maini ha detto...

Tristezza cosmica.

Zio Scriba ha detto...

Mi mancava il matto Genda (forse un po' mi ci identifico?) e questo pezzo è un piccolo, sconvolgente, godibilissimo capolavoro, dove i pensieri e le parole cozzano fra loro producendo scintille.
Ciao! :)

Il Ballo dei Flamenchi ha detto...

@Adriano: mi dispiace :)

@scriba: Grazie, ciao!