20/11/10

Volavamo sopra la nebbia*

di Cristina Taliento

Erano tempi difficili. J.D. Salinger era morto. Jose Saràmago era morto. Dicevano che ci fosse la crisi ed era vero, ma era una crisi che lasciava la gola arida di valori e di moralità. L’Italia, a dire il vero, mi sembrava come un vecchio carrozzone che arrancava nella nebbia di fine Novembre. Nessuno si chiedeva dove stesse andando, né se i suoi conducenti avessero bevuto o fatto tardi la sera. C’erano i telegiornali ed anche le radio, ma quelle parlavano d’altro ed era poca la gente che protestava dicendo: “ehi voi, parlate della nebbia! Non vedete com’è fitta?”. Così quelli continuavano a parlare d’altro. C’erano un sacco di persone che guardavano la televisione con un sorriso assente e con la testa piegata di lato e si facevano accarezzare il cervello da gialli mediatici o da bistecche da discoteca sedute sui troni degli studios. Ricordo l’ immondezza prepotente che si infiltrava nelle case e nelle redazioni dei giornali e poi tutto quel sudiciume si riversava nelle nostre vite, nelle menti di tutti, degli interessati e i non interessati. E il carrozzone errava, errava… e qualche volta, sbandava e si faceva un gran baccano, ma poi quasi tutti ritornavano a dormire e calava la nebbia, ritornava il silenzio. Ogni tanto, mi capitava di vedere dei vecchi nella nebbia; quei vecchi leggendari che giravano con la lanterna alzata e con lo sguardo miope. Alcuni li consideravano come dei santoni che parlavano senza capire quello che dicevano, ma, in realtà, soffrivano per la nebbia e nei loro borbottii di parole e tosse, nominavano concetti dimenticati come “cultura”, “informazione”. La cultura era potere, questo gridavano mentre qualcuno annuiva. La cultura ti faceva tornare indietro, ti spingeva a voltarti con un energico mezzo giro sui tacchi e ti lasciava dire “aspetta”. Le parole non avrebbero perso il loro valore iniziale perché esse sarebbero sopravvissute e poi ci avrebbero rischiarato la via. Sentivo signori imbellettati che non erano d’accordo e sbattevano i loro pugni sul tavolo, ribattendo che la cultura era un tremendo impostore capace di farti vedere tutto nero. Il mondo, in verità, era nero, anche i vecchi saggi lo pensavano e nemmeno io, nessuno poteva negarlo. Ma poi i saggi rispondevano che tutto era nero se non si aveva voglia di difendere il colore. Dicevano che solo esercitando la propria cultura con rispetto e con onore, si meritava di stare al gioco perché non si poteva negare che nel mondo si doveva combattere per vivere e che non ci sarebbero state mai abbastanza parole, giornali o voci che avrebbero dato voce alle urla d’ingiustizia così soggette ad essere soffocate sotto cuscini d’indifferenza. Lentamente capimmo che ogni cosa poteva essere discussa, ma ciò che annebbiava e feriva era l’indifferenza al dialogo, quel disinteresse malato sotto il quale dormivamo come cullati dal lento succedersi delle note di un carillon.


* Questo racconto è stato pubblicato sul giornalino scolastico Virgilio Taims, che ne mantiene i diritti.

06/11/10

La vecchia della finestra

ovvero, i pensieri infantili di una scrittora qualunque

di Cristina Taliento

Erano i giorni del Catechismo, quando stavo imparando ad attraversare le strade da sola, guardando a destra e a sinistra, senza mai riuscire a ricordare quale fosse destra e quale sinistra. Passavo davanti la casa di una vecchia che era affacciata alla finestra e non sapevo dire se filava o, semplicemente, piangeva in silenzio. Mio cugino mi aveva detto che si poteva piangere in silenzio anche stando seduti intorno ad un tavolo superaffollato e si poteva fare in modo che nessuno se ne accorgesse. Questa vecchia mi guardava ogni volta e le volte in cui ricambiavo lo sguardo, mi dispiaceva di essere ancora piccola e lei no. Piano piano andavo al Catechismo e se sbagliavo era colpa mia, e di nessun altro, ma non succedeva mai perché homo faber suae quisque fortunae. Ripeti: homo faber suae quisque fortunae. Brava.
Avevo scritto un racconto intitolato: “Hanno sparato al mio amico Jay”. Il nonno chiedeva al suo cane perché io fossi tanto pessimista ed un'altra parola strana che finiva con –errima-. Allora il cane guardava prima me e poi il nonno ed io zitta, ma pensavo “che vuoi”. Poi correvo al pero selvatico e intrecciavo braccialetti con fili di lana e mettevo il filo bianco sopra quello rosa e poi di nuovo bianco sul rosa, ma poi non riuscivo a fare il nodo finale e pensavo alla vecchia affacciata alla finestra. Il giorno di Pasqua andai dalla vecchia e dissi “signora vecchia mi puoi annodare le punte di questo braccialetto?”. E la vecchia tossì forte ed io guardai giù, mentre aspettavo di sentire la sua voce che non arrivava. Le passai il braccialetto dalla finestra e lei lo prese con le sue mani ossute e lucide. Allora io volevo vedere come faceva il nodo e mi aggrappai alla finestra con le punte dei piedi sul marciapiede ed entravo solo con la testa nella sua casa di minestra. Era odore di minestra.
“Puoi fare il nodo strettissimo?” chiesi. “Non tirare la tenda” disse. Liberai il tratto di tenda che tenevo premuto tra le mani e il marmo della finestra. Aveva le unghie lunghe e muoveva le dita lentamente. Faceva per prendere il filo, ma quello sfuggiva. “Non fa niente” dissi e lei me lo restituì.
Il nonno giocava con il cane e le mie scarpe di vernice marrone non stavano ferme, allora andai da mio cugino che giocava a pallone contro un muro. Mi tolsi le scarpe ed andai in mezzo alle due sedie perché quella era la porta e dovevo parare.
“Prendila”.
“Si, si, tira.”
Poi tirava.
“Non così fortAhia.”
“Che ti sei fatto?”
“ Niente.”
“Come niente, fammi vedere. Sta sanguinando il naso”
Guardavo il soffitto e vedevo il cielo, con le stelle e gli angeli ed i santi e Maria con Giuseppe, e tanti vecchi che suonavano e c’era pure la vecchia della finestra.
“Non te l’ho rotto io”
Ahia, non mi toccare… sei proprio uno scemo di merda”
“Guarda in alto… don Alfredo deve sapere che usi queste parole”
Ma non piangevo perché o ti scende il sangue dal naso o ti scendono le lacrime. Due sono le cose.