16/06/10

Il Cantastorie

di Cristina Taliento


Buonasera a tutti, amici cari,
il vostro benestare non è nei miei affari
perché, vedete, ora ho altro a cui pensare
e se volete sapere cosa, statemi ad ascoltare.
Io conosco una persona che gira per le città
e un'identità, nossignore, non ce l'ha e mai l'avrà.
Lui vive di storie e di rum bollente
ed anche dei soldi che gli snocciola la gente,
però lui non vuole fare il vagabondo,
ma è così che lo chiamano gli imbecilli, in fondo.
Io credo che facesse il Cantastorie di professione
per riempire quegli stupidi vuoti d'emozione,
che gli spaccavano le orecchie fin da bambino
quando non sapeva ancora molto del suo destino,
però una cosa la immaginava,
lui sapeva che la sua vita stava nelle storie che narrava.
Vedete, amici, non è facile da spiegare
a chi non sa cosa vuol dire raccontare.
Quest'arte è stata il mio primo amore
ed è per questo che lo capisco bene il Cantastorie.
Molti lo chiamarono "artista politicizzato"
perché le sue trame facevano un gran bel boato.
Insomma, lui raccontava di gente inchiodata,
minacciata dalla mafia e poi assassinata.
Dunque, cosa vi aspettavate,
storie che parlavano di belle stron...ehm ehm... ragazzate?
Storie che sapevano della polvere di guerra,
di politici venduti, del sangue della terra:
ecco intorno a cosa gravitavano i suoi temi
niente a che vedere con il cinema e i suoi poveri scemi.
Non c'era finzione nelle sue crude parole
dolcemente sussurrate sulla luce del sole.
E chissà adesso dove sarà quel soldato
quel menestrello condannato.
Forse avrà cambiato anche l'aspetto
con una barba lunga o, pensate, un colletto!
Ma se vedete, tra la folla, un Cantastorie
non stateci a pensare per delle ore,
fatevi spazio e ascoltate quel che narra
la verità, anche se scomoda, non vi metterà alla sbarra.
Poi quando di narrar non ne avrà più
scorgerete una piccola lacrima, sulla sua guancia, scender giù.
Quello è il suo segno, il suo distintivo:
la tenera emozione sul volto del fuggitivo.