16/09/09

L'australiano

di Cristina Taliento

Questa è una di quelle storie che la gente chiama "senza capo nè coda" e non vi posso nemmeno assicurare che abbia un corpo, ma il suo pezzo forte è quello di essere vera.


C'era un australiano che sulle prime sembrava un pazzo, ma bastava fissarlo un attimo per capire che era un pazzo pezzo autentico, un opera d'autore. Solo due cose sul suo conto potevi dare per scontate; la prima era che aveva sorpassato i 50 e la seconda... beh, la seconda era che amava lo sballo alla follia e tu potevi essere uno di quelli che se ne stanno seduti mormorando di essere astemi e contro l'alcool o uno di quelli altri che invece dicono di sapersi divertire senza bere nè assumere altro, potevi essere di qualunque idea e morale, ma caspita, non potevi non ammettere che quell'uomo sapesse il fatto suo e che, guardandolo, forse l'avresti invidiato anche tu. Come dicevo, non era italiano, molti dicevano che fosse australiano; riguardo alla sua nazionalità non saprei dirvi con precisione di dove fosse e, vi giuro, che mi sarebbe importato saperlo, pensate che lo chiesi anche al barman, un deficiente patentato con cravatta e cappellino che mi rispose :" deve essere australiano o giù di lì..." e chiesi ancora: "che cavolo vuol dire 'giù di lì '?", mi guardò come stesse pensando che fossi proprio scema e mi rispose con un tono che faceva tanto: perchè non ti togli di mezzo bambina? Comunque mi disse che "al suo paese" con quell'espressione intendeva un "australiano, inglese, americano... quella razza lì" . Il mio cervello perplesso si ricordò di ringraziare e ritornai a focalizzarmi su quel soggetto interessante su cui magari avrei potuto scriverci una storia, anche se, mi dicevo tra me e me "sarebbe una di quelle storie che la gente chiama senza capo nè coda e al mondo d'oggi tutti vogliono sentirsi raccontare storie che abbiano del pratico, un'inizio e una fine".


Quando ballava ti dava l'impressione che in pista ci fosse solo lui, solo lui e nessun altro. Non era un bravo ballerino, ma chi lo sapeva cosa fosse stato realmente... Magari era proprio un ballerino, uno di quelli che sono nel fiore della carriera, poi succede che si rompono un tendine e non possono più ballare, così pensano che la loro vita sia rovinata, tutti i sogni infranti eccetera eccetera e se ne vanno ad ubriacarsi per il resto della loro vita in un bar, poi quando sono proprio ubriachi fradici o, addirittura, annegati nell'alcool, si mettono a ballare scompostamente, ridicolamente e buffamente, ma si vede che ce l'hanno nel sangue la musica, il movimento, la danza. E poteva darsi che in passato non aveva mai avuto a che fare con teatro, sale prove, scaldamuscoli e calzamaglia, ma nel sangue aveva l'Arte. Avrei potuto scommetterci la la mano destra se avessi trovato qualcuno disposto a pensarla al contario, ma ovvio, non lo avrei trovato.

In giro (le persone che componevano il cerchio di gente in cui lui ballava al centro) si mormorava che avesse bevuto 14 mojito tutti di seguito senza ghiaccio nè niente, li aveva buttati giù di seguito sotto lo sguardo agghiacciato del barista e quando aveva, finalmente, finito di scolarsi l'ultimo bicchere si era rivolto a questo con un sorriso lucido e aveva esclamato: "the bill, please!" . Il barman aveva smanettato un po' sulla cassa e, strappato lo scontrino, glielo aveva consegnato. Lui aveva pagato come avrebbe fatto un normale avvocato di Milano dopo aver bevuto l'aperitivo analcolico delle 10. Storie che se decidi di raccontarle in un blog rischi di passare per pazza, ma adesso sto davvero sopravvalutando questa che, in fondo, non può chiamarsi nè storia nè niente.

Eppure, amici, nella mia breve vita, sono 16 a Novembre, ho capito che le storie vere stile cinema mozzafiato sono poche poche, meno delle cicale in inverno. La normalità è fatta di pezzi di pellicola spezzata che sembrano non avere mai un senso, pagine rimaste accartocciate tra il marciapiede e l'asfalto che volano via al passare sfuggente delle auto. Il bello sta nel fatto che le emozioni vengono scatenate anche quando non ci troviamo di fronte a grandi finali o colpi di scena e quando non ce l'aspettiamo la nostra pelle diventa come quella di un'oca. La normalità, a volte, ci lascia seduti a guardare spiazzati un punto fisso perchè ci svela in una scena la storia di una vita, solo che dobbiamo essere noi a fermarci, prendere la pagina accartocciata, spiegarla con le mani e... leggerla.




06/09/09

Senti quello che ti sto per chiedere

di Cristina Taliento



SE c'era una cosa che aiutava a capire la piccola-vecchia-mocciosa me di una decina d'anni fa quando stava per finire l'estate quella era indubbiamente il "gioco dei se" e tutta l'atmosfera che si veniva a creare quando, passate le ferie dei genitori, passati i caldi e roba varia, non rimaneva altro che sedersi attorno un tavolo con un soddisfacente numero di cugini e fratelli minori, incrociare le braccia sulla tovaglia e domandare al piccolo pubblico con una certa aria di affermazione: "Chi gioca al gioco dei se...?". C'era sempre qualcuno che proponeva un'idea apparentemente migliore per scappare da quel gioco che secondo alcuni importanti pareri infantili era tutto tranne che divertente, ma finiva sempre che nessuno si alzava dal tavolo e io, con un misterioso sopracciglio alzato, mi sporgevo in avanti come per confidare un segreto e iniziavo a bassa voce:



"Cosa fareste se all'improvviso, così, senza dir niente ad anima viva, arrivasse a bussare alle vostre case nientepocodimeno di... "



"di...?"; "dai, diccelo"; "uffa, chi?!"



"Alice nel Paese delle Meraviglie!" esclamavo sfoderando il mio mezzo sorriso, a quel tempo, buffamente incompleto.



"Io di sicuro le sbatterei la porta in faccia a quella"; "Perchè? Meglio darla in pasto a Nerone"; "Ma Nerone è un gatto, non mangia cartoni animati, cretino"; "Come te, gallina, comunque si potrebbe rinchiuderla nel ripostiglio della nonna, così fra tutte quelle schifezze si sentirebbe a casa!".



Non ho mai capito perchè Alice Meraviglie la mandavamo sempre a quel Paese (giuro che questa mi è venuta ora), forse perchè aveva quell'aria da perenne svampita dei miei stivali. E così questa specie di gioco andava per le lunghe, cioè fino alle 4 quando iniziava Bim Bum Bam e se non ti alzavi correndo poteva essere per due motivi: a) stavi male; b) stavi male.


Adesso la scenetta che ho descritto si interrompe, lo schermo si fa nero e compare la scritta TEN YEARS LATER, poi si riaccendono le luci e ci sono sempre io (ma va?) con i denti permanenti, ma coperti da un'incommentabile ferraglia grigio cemento e con i capelli di diverse gradazioni più scuri. Ah, gli occhiali... si, ho anche gli occhiali. Bene, può bastare per farvi capire che qualche annetto è passato, il cervello è migliorato, non faccio più giochi di bambini, non guardo più i cartoni animati come i bambini e a differenza loro, io: non credo nelle fate, non faccio i dispetti, non mangio caramelle, non dormo con il peluche, non frigno, non mastico Big Bubble con la bocca aperta, non faccio i codini, non parlo senza pensare, non saluto le macchine della corsia opposta e tutto quel che segue. Mai il mondo partorì una più grossa bugiarda... si, lo ammetto, la metà delle cose elencate, anzi più della metà sono false, ma non aspettate che vi dica quali; quella falsa per eccellenza è la 3°: i giochi per bambini sono uno sport che continuo a praticare anche se è dura vedersi battere a campana da un bambino nato quando tu sapevi già leggere. Ma non è questo il punto, il punto l'ho perso circa 13 righe indietro ed è lì che l'avrei dovuto riprendere e non l'ho fatto e se non la smetto di scrivere come penso non lo farò nemmeno ora. Il punto, dicevo, è che "ten years later" il mitico, spaventoso e temuto "gioco dei se..." continua ad entrare e uscire dalla mia testa, soprattutto adesso che l'estate sta finendo. Vuot, Cris, vuot?? Vuot if? Si, insomma... What sarebbe accaduto if mi fossi comportata non così ma colì?

Sembro Pinocchio che dopo esser diventato asino e compagnia bella, si ferma e prova ad immaginare dove sarebbe stato in quel momento se avesse dato retta al Grillo e alla Fata Turchina. Beh... sicuro che sarebbe diventato un bambino vero molto prima del tempo, ma è anche vero che non avrebbe mai incontrato quei due soggetti del Gatto e della Volpe e cos'è l'adolescenza se non conosci uno come Lucignolo capace di portarti nel Paese dei Balocchi? Può anche darsi che Pinocchio in versione ubbidiente avrebbe lo stesso vissuto nuove avventure, magari Geppetto non dovendo più girare il mondo per cercarlo avrebbe avuto il tempo per costruire una burattina di nome Ciliegia o vattelappesca e con lei Pinocchio potrebbe aver pensato di metter su famiglia. Dunque, qui parte una lunga storia, lunga per tutto il tempo di decomposizione di un pezzo di legno di Pino. Ed è un po' come se tutti fossimo il centro di una circonferenza da cui partono infiniti ed infiniti raggi, infinite ed infinite storie, ma il raggio che dobbiamo tracciare con la matita è uno e uno solo e dobbiamo scegliere dove tracciare la linea; ma la storia che dobbiamo percorrere con il tempo è una e una sola e dobbiamo scegliere dove tracciare la linea, quella linea che stringiamo nella mano... che chiamano vita.

03/09/09

Tomba letteraria

di una malinconica Cristina Taliento


(immagine del pellicano che ho ingoiato e della sua faccia soddisfatta di quando dalla mia gola è uscito lui vittorioso ed io, ahimè, a terra stordita)

Considerate che prima di scrivere queste uno, due... otto parole esclusi i tre puntini di sospensione, io avessi scritto un bel pezzo sulla riproduzione dei pellicani e che ne andassi anche piuttosto fiera. Si, insomma, riflessioni niente male, degne di nota eccetera eccetera. Cancellato. Per sbaglio, addio pellicani. Ho fatto una serie di respiri per calmarmi, ma niente; mi sento come se avessi ingoiato uno di questi uccelli con tanto di penne, becco e zampe che ora prendono a graffiarmi l'esofago ora traforano tutto e vanno dai polmoni. Potrei anche mettermi a riscriverlo, ma non lo faccio un po' perchè il secondo schizzo non ti viene mai come il primo e poi perchè... il pellicano che ho ingoiato è arrabbiato, mi sta strangolando da dentro e compagnia bella, bellissima, uno spettacolo. Spacco tutto-spacco tutto-giuro che lo faccio-lo faccio-spacco il computer-si-spacco il computer-si potrebbero arrabbiare-spacco tutto-non fa niente-spacco tutto-maledetto tasto-te e tutta la tastiera-spacco tutto-era bello, scritto benino, perchè?????? perchè!!!!!!!!!

QUI GIACE UN PEZZO SCRITTO DALLA DIRETTRICE DEL BLOG CRISTINA TALIENTO ANTICAMENTE INTITOLATO "SULLA RIPRODUZIONE dei PELLICANI", ACCIDENTALMENTE CANCELLATO PER MANO DELLA SUA CREATRICE. SI RASSICURA CHE UN PELLICANO HA VENDICATO I SUOI FRATELLI.

01/09/09

Polvere

di Cristina Taliento

Tornare a casa dopo essere stata via per un paio di mesi e mezzo è stato come confezionare una valigia di cartone, simile a quelle che usavano gli immigrati degli anni 20, piena di cianfrusaglie e lasciarla nel silenzioso buio di un armadio per un po' di tempo, poi, un giorno, decidersi di riaprirla e ritrovare tutto così come stava. Solo quella giusta polvere in più che ti fa riflettere sul fatto che anche se mancavi le lancette non hanno mai smesso di respirare, che anche se tutto sembra come prima, qualcosa è comunque cambiato e non puoi contestarlo, perchè la polvere, che tu lo voglia o no, si è distesa sulla tua valigia. Qualche pubblicità rassicura che è solo questione di attimi: compra quel prodotto e tutto tornerà davvero come lo avevi lasciato; ma chi è che le ha mai ascoltate le pubblicità, forse gli stessi che danno retta ai maghi, alle superstizioni e a tutti i felici asini volanti che questo mondo si possa inventare. Seriamente, non è il caso di perdersi dietro a queste storie e se la polvere c'è, io dico bene che rimanga lì, almeno fin quando non arriverà il momento di toglierla; quando arriverà prenderò il primo cd di Francesco de Gregori, ci soffierò sopra, lo luciderò meglio con la manica della felpa e la sua musica ripartirà come prima. Per adesso mi piace restare seduta ai piedi di quell'enorme valigia che adesso mi fa sentire tanto piccola, guardare la polvere e pensare a quello che stavo facendo mentre lei era lì a depositarsi sulla mia roba.