23/08/09

Una serie di delusioni abbatterono il cavallo

di Cristina Taliento


Una serie di delusioni fecero sì che nel giorno due agosto dell'anno millenovecentotrentotto, alle ore otto del mattino, il cavallo venisse abbattuto davanti allo sguardo attonito di piazza del Duomo per mano del suo severo fantino. Testimonianze annunciano che lo sparo rieccheggiò per tutto il quartiere e che ridestò dal sonno persino il figlio del marchese, il quale, abituato a campare con i soldi del padre, usava dormine fino a tarda mattinata; questi, dunque, si disse che si fosse affacciato alla finestra e avesse esclamato mezzo assonnato: <<>>. Ma egli stesso vide dall'alto il cavallo disteso, con un cerchio rosso nella pancia; a quella vista serrò le labbra in segno di disgusto e ritornò nel buio della stanza. Tra i mormorii di dissenso della gente radunata attorno alla scena il fantino diede ordini a quattro fattorini di portare il cadavere lontano da quelli sguardi e nel giro di tre quarti d'ora la piazza fu sgombrata.

Il cavallo in questione, noto alla borghesia leccese appassionata d'ippica, non si era azzoppato, nè soffriva di qualche ignota malattia, ma come dichiarò alla stampa il severo fantino mentre fumava il sigaro: "il cavallo aveva smarrito la voglia di vivere". Si dedusse quindi che la povera bestia era già stata abbattuta da una serie di sconfitte avvenute in data precedente al 2 agosto dell'anno millenovecentotrentotto.

Forse il cavallo aspettava solo che qualcuno gli dicesse: "Bravo, non mollare", forse il cavallo dopo una sconfitta non voleva trovarsi sbattuto in una stalla a catalogare i sensi di colpa, forse non ne poteva più di quella vita piena di gente che ti diceva cosa dovevi fare, forse egli sognava la sua famiglia, le corse libere nella campagna. La sua voglia di vivere l'aveva smarrita nelle assillanti aspettative della gente, nella polvere dell'ippodromo, nelle urla minacciose dei fantini. Si era stancato di recitare la parte del vincitore, della pedina puntata tra le scommesse; forse non ce la faceva più ad essere considerato dagli altri cavalli come il più forte, a sentirsi puntato col dito dai mercanti come merce inanimata. Sentiva di meritare di più del gentile ordine "corri, bello", sentiva che quello, che gli stavano imponendo con qualche carezza in più, non era il suo posto e, così, piano piano si spegneva da solo come una candela quando si consuma lo stoppino.E siccome questo mondo funziona che se finisci di dare il massimo te ne puoi anche andare anzi, ti mandano via loro con quattro o più calci nel fondoschiena, si sa già come va a finire. Uno sparo in pancia senza "buongiorno" o "buonasera", uno sparo in pancia e niente più.

16/08/09

Pomeriggio

di Cristina Taliento

Questo pomeriggio non ho nè la voglia nè il coraggio per dormire un po'. Nell'ovatta del mio cervello perplesso e malinconico sgomita un ricordo non troppo lontano di un altro pomeriggio, più o meno come questo, passato a sbrogliare medaglie nell'ufficio della mia allenatrice, con il ventilatore del custode sparato al massimo dietro la nuca. Stessa tristezza, stesso sguardo basso, stesse domande "che hai?", "chi è morto?" e stesse risposte sussurrate a mezza bocca: " sto bene", "fai come se non esistessi". Prima o poi si ripete tutto. Comunque in quel non troppo lontano pomeriggio di luglio, quando quella farabutta pista di atletica stava per prendere fuoco con sopra tutti i suoi fanatici che andavano a correre alle 2, finì che vinsi gli 80m ostacoli. Mi stavo consumando dita e denti per un nodo tra il filo di un argento poco argento e quello di un terzo posto più plastica che bronzo, quando entrò la mia allenatrice e senza troppi giri di parole mi fece: "Taliento, lascia stare quelle medaglie e vai in pista a recuperare gli 80 ostacoli!". Per un breve momento percepii solo il fruscio delle pale del ventilatore così vicine alle mie orecchie, poi iniziai a comprendere che, voglia o no, dovevo saltare, che, voglia o no, dovevo spingere le mie gambe fuori dalla porta ed entrare nel rosso bollente della pista. Adesso non vi sto a raccontare come l'avversaria cadde, come l'avversaria recitò la parte dell'atleta incazzata e delusa, come io le strinsi la mano. No, non è questo il punto. La storia è che dopo mi sentii meglio e che quando tornai nella saletta riuscì a sbrogliare quel dannato filo. La stupida storia è questa e io me la sto raccontando per consolarmi che dopo tutto passa, che... No, non voglio che passi, la tristezza è una prova che c'è stato, se passa quella, passa tutto. Non voglio che passi.